di Luca Chierici
All’interno del concerto scaligero organizzato dal Comitato promotore delle celebrazioni pucciniane (nel 2024 cade il centenario della scomparsa del nostro grande musicista) è stata scelta in apertura l’accoppiata del Preludio sinfonico e del Capriccio sinfonico.
Partiture giovanili di Puccini di ascolto poco frequente ma neanche del tutto sconosciute (Muti e Gatti le hanno dirette in più occasioni) che hanno rappresentato il doveroso omaggio di Zubin Mehta per questo suo festeggiatissimo ritorno nel nostro Teatro. Partiture non dirette a memoria (mentre lo era l’Intermezzo dalla Manon offerto come bis) che hanno lasciato spazio al vero pezzo da novanta della serata, ossia la quarta sinfonia di Čajkovskij . Capolavoro da molti anni nel repertorio del grande direttore, oggi affrontato attraverso una lettura più pacata rispetto al passato anche recente, con una interessante approfondimento architetturale per ciò che riguarda la struttura dell’ampio primo movimento.
Del famoso Scherzo si è rispettato il carattere virtuosistico dei pizzicati degli archi e soprattutto nel fantastico Finale Mehta ha offerto una lettura controllatissima (si udivano perfettamente tutti i veloci passaggi degli archi) e ha riservato al termine un accelerando che ha reso giustizia a una delle conclusioni più straordinarie del repertorio sinfonico. Si stentava all’inizio a riconoscere la fisionomia di un direttore che ha oggi ottantasette anni e che ricordavamo già da tempi remotissimi: nel 1970 diresse a Salisburgo un emozionante “Sagra” di Stravinskij facendo delirare le signore presenti in sala per la sua giovanile bellezza e il colorito bruno della pelle. Se il passo è oggi malfermo, non così è il vigore mentale che gli permette di comunicare ancora all’orchestra con gesto preciso ogni sfumatura del discorso musicale. Lunga vita a lui e, speriamo, un arrivederci ai prossimi appuntamenti che lo vedranno ancora ospite.