di Marco Testa
Lo scorso 15 luglio, a Firenze, nella sua casa in via delle Campora, è mancato improvvisamente il clavicembalista, direttore d’orchestra e musicologo americano Alan Curtis, uno dei maggiori specialisti del repertorio barocco e del barocco italiano in particolare. Curtis avrebbe compiuto ottantuno anni il prossimo mese di novembre.
Era nato nel 1934 a Mason, una cittadina del Michigan di circa ottomila anime. Studiò quindi negli Usa, dapprima al Michigan State University e in seguito all’Illinois University, dove si addottorò nel 1963 con una tesi sull’organista e compositore olandese Jan Pieterszoon Sweelinck. Nel frattempo, nella seconda metà degli anni Cinquanta, Curtis volava ad Amsterdam per seguire i corsi del grande Gustav Leonhardt, esperienza che dovette rimanere tra le più importanti di tutta la sua lunga vicenda musicale. Ben presto poté avviare una carriera internazionale che lo vide esibirsi presso alcuni dei più prestigiosi palcoscenici mondiali, in veste tanto di direttore che di clavicembalista. Memorabili rimangono alcune sue registrazioni relative al repertorio per strumento a tastiera di J.S. Bach, tra cui nel 1976 la registrazione delle Variazioni Goldberg per la EMI e nel 1979, stavolta per la Teldec, i due concerti per tre clavicembali, rispettivamente in re minore e in do maggiore (Bwv 1063 e Bwv 1064), e il meraviglioso Concerto per quattro clavicembali in la minore (Bwv 1065) in una produzione alla quale partecipò anche lo stesso Gustav Leonhardt. Nel frattempo, docente all’Università della California dal 1960 al 1994, si affermava anche come instancabile studioso delle prassi esecutive e della strumentazione in uso nell’epoca barocca: nel 1969 ampliò la sua tesi di dottorato su Sweelinck, pubblicandola con il titolo Sweelinck’s Keyboard Music: A Study of English Elements in Seventeenth-century Dutch Composition, testo divenuto successivamente un classico nel genere.
Nel 1992 fondò in Italia Il “Complesso Barocco”, orchestra specializzata nell’opera e nell’oratorio del barocco italiano. Non casualmente molti dei cantanti che collaborano con il Complesso sono italiani, giacché, sosteneva Curtis, «solo i madrelingua italiani possono eseguire appropriatamente il repertorio barocco in lingua italiana» (cfr. B.D. Sherman in Early Music, febbraio 1999). Assieme alla sua orchestra, Curtis eseguì numerose composizioni vocali di Francesco Cavalli, Antonio Lotti, Luca Marenzio, Carlo Gesualdo da Venosa, il Primo libro dei madrigali a cinque voci di Michelangelo Rossi, senza contare le opere di Monteverdi, Vivaldi e, nell’ultima parte della sua vita, soprattutto di Händel, le cui registrazioni al fianco di solisti di valore quali il soprano canadese Karina Gauvin, il mezzosoprano statunitense Joyce DiDonato o il contralto italiano Sonia Prina sono testimoni di una particolare affinità con la scrittura e la sensibilità del musicista sassone. Le registrazioni händeliane suggellano un’instancabile attività durata praticamente un sessantennio, capace di esprimere quasi sempre livelli altissimi e prestazioni convincenti. Con la scomparsa di Curtis il mondo della musica barocca ha perso sicuramente uno dei suoi maggiori alfieri.