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di Maurizio Baglini
M i imbattei in Franz Liszt a 8 anni, nel 1983: avevo da poco cominciato lo studio del pianoforte e venni a sapere dell’esistenza della celeberrima Campanella. Pur ignorando la matrice di Nicolò Paganini inerente il pezzo di bravura in questione, mi feci l’idea che Liszt scrivesse pezzi piacevoli e spettacolari, per lo meno all’ ascolto di un bambino da poco avvicinatosi al pianoforte. Comprai un disco in vinile intitolato: “Liszt, Festival”, registrato dal pianista italo-francese Gabriel Tacchino. Ascoltando a più non posso quel disco, ebbi modo di scoprire i pezzi più famosi nell’immaginario collettivo lisztiano: il Sogno d’amore, la Rapsodia Ungherese n. 2, eccetera. Cominciai quindi subito a studiare alcuni pezzi per me abbordabili che volli imparare a memoria e cominciare ad eseguire regolarmente: la Rapsodia Ungherese n. 5 (Elegia funebre, forse un po’ sinistra per un bambino) e lo Studio da concerto Ronda di Gnomi.
Chi avrebbe detto che trent’anni dopo avrei inciso io un omaggio a Liszt con i capolavori più celebri lasciati dal genio ungherese? Infatti, il mio recente cd Rêves, pubblicato da Decca, comprende un excursus storico sulla figura di Liszt con i pezzi più celebri come omaggio al compositore nel bicentenario dalla nascita.
Il mio approccio a Liszt aveva già segnato due tappe discografiche importanti: l’integrale degli Studi trascendentali e la registrazione della Sinfonia n. 9 di Beethoven trascritta appunto da Liszt per pianoforte solo. Oltre a questo copioso repertorio, amo molto suonare tutti i cicli degli Anni di pellegrinaggio, alcune parafrasi da opere italiane – Rossini, Verdi, Bellini – e da opere di Wagner, oltre alla Via Crucis con coro da camera che conto di programmare a breve per particolari spazi concertistici alternativi : chiese, concerti estivi all’ aperto, eccetera. Liszt rappresenta per me uno degli uomini più colti e versatili della storia universale: nessun altro personaggio, ad eccezione di Pier Paolo Pasolini e Leonardo da Vinci, mi stimola ad una vera e propria sete di sapienza e di apprendimento, e nessun altro compositore, altrettanto quanto Liszt, mi da modo di spostare in avanti i confini “grammaticali” dei vari periodi musicali. Vero è che, rispetto ai suoi contemporanei Schumann e Chopin, ad esempio, Liszt ha vissuto molto più a lungo, ma sfido chiunque a non rimanere sorpreso nell’ascoltare per la prima volta un pezzo di un Liszt relativamente giovane quale Il Penseroso, dagli Anni di pellegrinaggio: sembra di ascoltare un pezzo di musica contemporanea, scritto oggi, un’improvvisazione onomatopeica ispirata al, anzi dal, suono dello scalpello magico di Michelangelo Buonarroti. Altro esempio lampante della precocità di Liszt nelle nuove soluzioni drammaturgiche prossime al simbolismo è lo Studio trascendentale n. 11, Armonie della sera: il passaggio fra questo capolavoro e Reflets dans l’ eau di Debussy è assolutamente immediato, nonostante vi siano circa sessantacinque anni fra le due creazioni. Senza voler poi scadere nei luoghi comuni, è opportuno menzionare la Bagatella senza tonalità, ovvero sia il Mefisto Valzer n.4: il titolo parla da solo. Trattare l’atonalità intorno al 1880 era quasi operazione musicalmente blasfema!
Oltre a questo profilo intellettuale e geniale di Franz Liszt, non bisogna mai vergognarsi dell’elemento virtuosistico e ginnico che solo Liszt ha saputo trattare con tanta maestria: il virtuoso, per definizione, è colui il quale beneficia di doti, ragion per cui il concetto stesso di virtuosismo non deve attrarre l’attenzione su fronti negativi. È grazie a Liszt che il pianoforte raggiunse l’apogeo storico di trionfo sugli altri strumenti, orchestra compresa; è grazie a Liszt se il pianoforte uscì dai salotti e divenne strumento di celebrazione e di successo del singolo artista; è grazie a Liszt se lo strumento meccanico – il pianoforte, appunto – ebbe una tale e rapida evoluzione costruttiva. Ci rendiamo davvero conto di quanti e quali siano i debitori morali nei confronti di Franz Liszt?
(Ottobre 2011)