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Ristampato Intervista sulla musica, un fitto e pregnante dialogo tra il compositore e Rossana Dalmonte
di Paolo Tarsi
«Cercare di definire la musica è un po’ come cercare di definire la poesia: si tratta cioè di un’operazione felicemente impossibile. La musica è tutto quello che si ascolta con l’intenzione di ascoltare musica: la ricerca di un confine che viene continuamente rimosso». È quanto afferma Luciano Berio in Intervista sulla musica libro uscito nel 1981, nato da una conversazione tra il compositore e la musicologa Rossana Dalmonte (e che vede la sua seconda edizione nel 2011 per i tipi di Laterza, pp.174, 9 euro), in cui il grande compositore racconta la sua opera multipolare, così capace di connettere vari linguaggi, frutto di idee ed esperienze, esplorando al contempo il labirinto della musica postdodecafonica fino alle elaborazioni elettro-acustiche ed elettroniche, in un percorso che si rivelerà «un grande invito alla libertà di ascolto», perché «ci sono tanti modi di intendere la musica quasi quanti sono gli individui che le si avvicinano».
Tra il 1971 e il 1973 il compositore ha lavorato molto anche per la televisione preparando una serie di dodici puntate sulla musica dal titolo «C’è musica e musica», prima che la televisione di Stato e la politica abbandonassero definitivamente la cultura, verrebbe da dire
In queste pagine di grande suggestione, che si aprono con un invito della Dalmonte a chiarire cosa intenda il compositore per musica, Berio affronta la distanza fra idea e pratica musicale, e di come il musicista abbia dovuto colmare il divario con il pubblico – «un pubblico che pagava e che voleva riascoltare una sinfonia, non solo ascoltarla» –, nel momento in cui il compositore ha cessato di essere anche interprete-esecutore, per trovare rifugio in un’Estetica. Evitando lunghe ore di esercizio quotidiano su uno strumento e staccatosi dal far musica in maniera diretta, il compositore ha cominciato a parlare del suo lavoro e delle sue visioni, cessando di essere un musicista pratico. «Chopin e Brahms, grandi pianisti, non ci hanno lasciato scritti» – ricorda Berio – «Invece Schumann (che si era accidentato a un dito e non poteva più suonare il pianoforte), Berlioz (che suonava malamente la chitarra), Wagner e Schoenberg (che non erano certo virtuosi dei loro rispettivi strumenti, il pianoforte e il violoncello), ci hanno lasciato una quantità significativa di scritti».
Lo sguardo sulla musica di Berio prosegue dai Banda-Linda dell’Africa centrale fino a Gershwin e agli amatissimi Beatles, passando attraverso le opere e il pensiero di personaggi della cultura quali Adorno, Calvino, Eco, Mila, Sanguineti, Asor Rosa, Lévi-Strauss, Beckett e molti altri ancora. Dall’incontro nel 1961 con Edoardo Sanguineti, in particolare, nacque una solida collaborazione, tanto che Berio rappresentò per il poeta un punto di riferimento musicale fondamentale, che trova il suo equivalente per la pittura in Enrico Baj. Dopo aver letto Laborintus, Berio capisce di aver trovato lo scrittore giusto per realizzare il progetto che ha in mente, un’anti-opera per la Piccola Scala. Nasce così Passaggio, sorta di via crucis laica scandita per stazioni, che ha al centro una figura femminile – “Lei” –, in balìa di una società capitalistica spietata, che andrà in scena, tra mille polemiche, alla Piccola Scala due anni dopo, nel 1963. In seguito, tra il 1971 e il 1973 il compositore lavora molto anche per la televisione, quando, insieme a Vittoria Ottolenghi e Gianfranco Mingozzi, prepara una serie di dodici puntate sulla musica dal titolo «C’è musica e musica», prima che la televisione di Stato e la politica abbandonassero definitivamente la Cultura, verrebbe da dire.
In queste pagine emerge un altro aspetto di Berio, la sua tradizione artigianale di fare musica, di completare, e persino di riscrivere le pagine del passato: «Mi interessa la musica che crea e sviluppa relazioni fra punti molto lontani tra loro, su un percorso di trasformazioni molto ampio. Chi ascolta deve rendersi conto che ci sono modi diversi di cogliere il senso di questo percorso» – afferma il compositore ligure – «Tra un’opera musicale e chi l’ascolta c’è meno distanza storica che tra un quadro e chi lo guarda. Le grandi opere musicali del passato vanno “rifatte” e reinterpretate continuamente, anche a costo di trascriverle e di farle risuonare su strumenti complessivamente diversi. È nella loro stessa natura che questo avvenga. Nello stesso anno, una sinfonia di Haydn poteva essere eseguita con cinquanta violini a Londra e con dodici violini a Dresda.»
Alla fine è chiaro cosa intenda Berio per musica e si può così trovare nelle sue parole una risposta alla domanda iniziale della Dalmonte: «Mi piace pensare che gli uomini facciano delle cose e dei mestieri precisi e mi piace pensare che un pescatore o un contadino siano produttori di cultura almeno quanto un burocrate o un mezzobusto televisivo. Il musicista e l’ascoltatore non appartengono a due diverse categorie socio-culturali. Per me il pubblico ideale è quello che ha tante facce e che si avvicina alla musica con tante e diverse motivazioni. Tutti capiscono, a loro modo, la musica. Penso addirittura che non ci sia un modo giusto e un modo sbagliato di ascoltarla: ci sono modi più semplici e modi più complessi».
Luciano Berio, Intervista sulla musica, a cura di Rossana Dalmonte, Laterza, pp.174, 9 euro.
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