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Flash in la minore

di Simeone Pozzini
26 Gennaio 2015
in L'opinione
5
Home L'opinione
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Pubblico, smartphone e galateo dell’ascolto. András Schiff interrotto da una suoneria, Krystian Zimerman irritato da una ripresa video, Daniel Barenboim disturbato da un flash pochi giorni fa al Teatro alla Scala. Tutti hanno interrotto momentaneamente l’esecuzione musicale. Su quest’ultimo episodio, legato al significato dell’immagine nella società dello spettacolo, i pareri di quattro fotografi professionisti: Vico Chamla, Francesco Maria Colombo, Roberto Masotti, Marco Caselli Nirmal


di Simeone Pozzini  foto Foto Brescia e Amisano © Teatro alla Scala


«NEI MOMENTI SUBLIMI DI UN CONCERTO, scartare caramelle non è una maleducazione, è un’arte» scriveva Claudio Casini nel Piccolo galateo della musica, un insieme di suggerimenti e riflessioni proposte con ironia e rivolte agli uditori. Ma se le classiche caramelle “Gelo Menta” della nonna con la loro carta rumorosa, o le “Galatine” dell’allora Polenghi Lombardo (sì, quelle mediamente friabili che facevano un secco “Tac”) hanno lasciato il posto – se va bene – ai vari Nokia Tune e Old Phone Ring, flash telefonici, monitor di smartphone luminosi come torce poiché grandi come una tavoletta di cioccolato, come la mettiamo? Galateo, quello di Casini, che se fosse riscritto oggi dovrebbe certamente tenere conto dei cambiamenti della fruizione 2.0 per il tramite dello smartphone e più in generale dell’educazione di una parte del pubblico.

Veniamo alla cronaca: Daniel Barenboim nell’ultimo concerto del Ciclo Schubert al Teatro alla Scala ha interrotto l’interpretazione della sonata in la minore D845 perché disturbato da un flash (forse più d’uno, ma dalla stessa fonte) arrivato dalla platea. Il pianista si è alzato ed ha redarguito la disturbatrice: «Signorina io cerco di darvi il meglio, ma voi non avete rispetto. Ve l’ho detto ad ogni concerto, la prima volta in tono scherzoso adesso lo dico sul serio. Quelli che fanno le fotografie durante i concerti sono dei maleducati». Applausi del pubblico.

L’episodio può anche essere inserito in un più ampio contesto che va sotto il titolo di “ricordino”, una personale e multimediale figurina Panini da inserire in una collezione privata, il furto dell’immagine nel momento sbagliato, ma anche la registrazione del suono senza autorizzazione, le riprese video. Oltre a Barenboim i grandi interpreti che negli ultimi anni hanno interrotto le proprie esecuzioni poiché giustamente irritati dai telefoni non sono pochi: András Schiff (ora “Sir”) è stato disturbato lo scorso anno da una suoneria nel concerto milanese alla Società del Quartetto. Krystian Zimerman, accortosi di uno spettatore che lo stava videoregistrando alla Filarmonica di Essen è andato su tutte le furie: «La distruzione della musica attraverso YouTube è enorme».

Tutto sembra convergere intorno all’uso errato e maleducato dello smartphone e delle nuove tecnologie, per fortuna senza possibilità di appello all’indicibile bottega di piccoli orrori chiamata “buon senso”, notoriamente diverso per ogni individuo. Spegnere il telefono ad un concerto non è un atto che può essere definito di buon senso. È di più, è un atto d’amore nei confronti della musica, dell’interprete, di tutto il pubblico, la maggior parte del quale per fortuna conosce la difficoltà dello stare sul palco, quale livello di concentrazione sia necessaria all’interprete per svolgere il proprio lavoro. Tuttavia l’incauto atteggiamento della “spettatrice-fotografa” ha compromesso l’ascolto collettivo.

Allo stesso tempo non si può non tenere conto del fatto che in questo senso la società sia cambiata in modo irreversibile e lo spettatore voglia anche impropriamente farsi egli stesso spettacolo. È l’idea dell’immagine come surrogato della realtà, per la quale è possibile testimoniare la propria presenza ad un concerto più per il suo lascito visivo che interiore.

Ma esistono delle eccezioni? E quali sono i limiti e le tolleranze possibili? La questione è complessa, per questo abbiamo raccolto i pareri di quattro professionisti che lavorano da anni anche nella fotografia dello spettacolo, chiamati a commentare le parole di Daniel Barenboim e la vicenda nel suo insieme: Vico Chamla, Francesco Maria Colombo, Roberto Masotti, Marco Caselli Nirmal.


Vico Chamla: «Le più belle foto che io ho fatto sono quelle che non ho fatto, perché non ho potuto scattare. Lo consiglio al pubblico»

Questa signora che ha fatto il flash è una del pubblico che voleva un “ricordino”, cose di questo genere che non dovrebbero essere permesse, perché effettivamente disturbano.  Dico spesso che le più belle foto che io ho fatto sono quelle che non ho fatto, perché non ho potuto scattare, perché se lo avessi fatto avrei disturbato, in un modo o nell’altro. E questo è anche un consiglio per il pubblico. Io sono un po’ più tollerante, nel senso che quando in Conservatorio vedo qualcuno con la macchina fotografica e subito arriva la maschera e gliela toglie e gliene dice… non è che faccia un gran male, però bisogna tenere conto che in una sala come la Scala è diverso. L’Arena di Verona sembra a volte un albero di Natale perché scattano continuamente, ma lì per fortuna non danno disturbo perché lontani. Barenboim logicamente ha avuto ragione a fermarsi, perché quando una scatta con un flash mentre sta suonando è disturbante, non c’è alcun dubbio, che fosse un telefono o una macchina fotografica; non fa differenza per il flash. Anche i telefoni adesso lo hanno. La macchina più usata al mondo adesso per fare fotografie è l’iPhone, quindi è il telefono ad essere utilizzato. Barenboim l’ha detto in un modo garbato ma deciso, ci sono anche musicisti che… Schiff l’anno scorso ha sentito un suono del telefono e si è alzato, ci sono voluti venti minuti di Magnocavallo [Presidente della Società del Quartetto di Milano, ndr] per riconvincerlo ad entrare.

Quindi dipende proprio dalla situazione singola, evidentemente Barenboim è stato proprio disturbato. In effetti è giusto che il pubblico non possa fotografare, perché se venisse concesso sarebbe un flash continuo, soprattuto quando si passa da una normalità che può, diciamo, ancora non disturbare, ad una “anormalità” che diventa invadente. Il pubblico vede nell’interesse personale di scattare una foto una vittoria e rischia per ottenere qualcosa che per lui è importante. Questo fattore è da tenere presente, poiché per il pubblico la foto è quella che testimonia che è stato lì, è un ricordo. Il sistema deve essere regolamentato per forza di cose, anche perché non si può permettere di lasciar fotografare, ad esempio, i primi dieci che sono entrati e non gli altri. Il divieto deve valere per tutti.


Francesco Maria Colombo: «Tutte le foto, oggi, sono dei selfies, qualsiasi cosa sia fotografata»

Dal punto di vista della musica, fare foto (soprattutto col flash) a un artista che suona, è ovviamente una cafoneria sesquipedale. Barenboim ha fatto benissimo a redarguire chi ha disturbato la sua concentrazione. Peccato non avesse un lanciafiamme con sé. Va anche detto che ormai è tutto inutile. Nei nostri teatri l’ignoranza del pubblico è tale che poche sere fa, mentre commento con una signora uno Schiaccianoci con Roberto Bolle appena conclusosi (era il momento degli applausi e noi eravamo addossati a una fila di poltrone), arriva una megera sui cinquanta e ci grida contro «Se dovevate venire alla Scala a chiacchierare potevate starvene a casa. Ma pensa te, che gente… Cosa vengono alla Scala a fare»… L’elegante signora era Carla Fracci, e ho detto tutto.
Ma soprattutto la foto con flash mentre un pianista suona è lo specchio dell’imbecillità della fotografia oggi. Cosa pensava di fotografare la signora? Schubert? Barenboim? La concentrazione? Le mani che volano? No, fotografava tanto per fotografare, per stabilire che era lì, per accumulare casualità a casualità. Non è fotografia, è violenza alla civiltà dell’immagine, che è una cosa seria. Nei giorni scorsi ero al Metropolitan Museum a New York: tutti fotografavano tutto, fotografavano quadri che non guardavano, come non guarderanno mai le foto dei quadri una volta tornati a casa, perché saranno occupati a fotografare qualcosa d’altro. Tutte le foto, oggi, sono dei selfies, qualsiasi cosa sia fotografata. Sono dei selfies della dabbenaggine, dell’ignoranza, dell’andare a casaccio nel mondo, dell’ego onnipresente. Sono la negazione di quel processo di selezione che rende la fotografia una fotografia.

Roberto Masotti: «Non funziona più quel tipo di comunicazione che avvertiva cosa non si poteva fare in teatro»

L’argomento non può essere affrontato solo sulla base della reazione di Barenboim, esiste comunque e cioè il fatto di come porsi in ascolto della musica, cosa fare e cosa non fare soprattutto. Da fotografo lo capisco bene, è una vita che cerco di risolvere questo problema, trasformandomi in un essere invisibile.

Educare il pubblico, ma il pubblico dovrebbe saperlo già. Intanto evidentemente non funziona più quel tipo di comunicazione che avvertiva cosa non si poteva fare in teatro. Molti non ascoltano neppure, pensano di poter fare qualsiasi cosa, di portarsi a casa il “ricordino”. Faccio un inciso: molti amministratori e gestori della cosa pubblica hanno pensato che in fondo, sarà la crisi o meno, questo atteggiamento diventasse incluso nel prezzo del biglietto, cioè le persone pagano il biglietto e si sentono in diritto di fare anche quello. Così si corrompe tutto, la purezza e la dedizione all’ascolto, uno dovrebbe stare immobile sulla sua poltrona, ascoltare e non fare null’altro che quello: è uno degli argomenti preferiti da Keith Jarrett o prima di lui da Michelangeli, cioè l’idea che il pubblico non deve essere adorante ma favorire il profondo silenzio che è necessario per l’ascolto. La tolleranza dell’artista  dovrebbe essere legata  almeno al fatto che siano usati degli escamotage. Se chi ha scattato la foto non sa togliere il flash dal suo apparecchio, che non lo tiri fuori.   

Adesso vai ai concerti e la gente, anche in una operazione silenziosa ma luminosa, ascolta il concerto e intanto controlla la posta e chatta. Tu sei a un concerto e vedi uno di fianco a te che fa tutte queste operazioni. È una cosa fastidiosissima. Io non sono un bacchettone, ho cercato tutta la vita di essere invisibile e non essere udito, dovendo magari avere un incarico ufficiale. Ma se si lascia che l’operatore della televisione faccia quello che deve fare, e quanti operatori più dei fotografi abbiamo visto girare sul palco in modo ingombrante e tutto questo è stato lasciato passare, come si fa ad educare un pubblico se il pubblico vede nei decenni il perpetrarsi di quegli atteggiamenti? La gente dirà: «Bè, la prossima volta ci provo anche io».

Se Jarrett accetta di andare ai Giardini del Frontone o Barenboim va a Caracalla, bè, non si può pensare che non accada qualcosa del genere, bisogna metterlo in conto. Però alla Scala no. Barenboim ha fatto benissimo. Anzi mi domando se quella signora sia uscita o si sia resa conto, perché poi le persone non si rendono conto, dicono «Ma io in fondo ho fatto solo una foto». Quando si va ad altri concerti, di jazz o altri generi, dove tutto sembra più tollerabile e ci sono molti più fotografi, le cose vengono regolate. Una volta se per caso le maschere in teatro avessero percepito che c’era qualcuno che fotografava, andavano lì e lo fermavano. Adesso soccombono, del resto cosa fare? Siamo ridotti così. Se spari un flash da un palco di proscenio non è poca cosa.


Marco Caselli Nirmal: «Il patto che si stipula, un patto non scritto, è che il concerto è un rito collettivo»

IL pianista, anche se non si ferma, ha il timore di dover stare attento a qualcuno che comincia a disturbarlo e comincia a perdere concentrazione, per cui ha fatto bene a fermarsi secondo me. Naturalmente quando Barenboim intende di non fotografare durante i concerti si riferisce al pubblico. In un concerto, in una situazione chiusa e di grande concentrazione, il patto che si stipula, un patto non scritto, è che il concerto è un rito collettivo, e questo tipo di rito non è abbastanza messo in evidenza: è una relazione fra più persone e il buon risultato dipende da tutti. Si pensa che dipenda solo dal pianista, mentre dipende anche da dove si trova e in che contesto. L’ambiente è indispensabile. È un problema più generale sull’educazione: al silenzio, alla concentrazione. Prima di inziare un concerto si dovrebbe stare in silenzio un quarto d’ora, per far prendere possesso alle persone dello spazio, anche nel foyer, anche in biglietteria. E allora il silenzio si sente, dappertutto.

Allora a questo punto il problema non è la fotografia, ma il telefono. Semplicemente una applicazione del telefono. Qui non parliamo di fotografia, siamo onesti. È lo strumento telefono che ha aperto magicamente o drammaticamente le acque del Mar Rosso. Quindici o venti anni fa non sarebbe stato neppure immaginabile. Ma non è fotografia: con la mia camera professionale non riesco a telefonare! Non c’è più il senso dell’educazione. Uno si sente onnipotente con il telefono e fa quello che la pubblicità gli suggerisce. Lo stress di Baremboim sarà stato fortissimo: può succedere che al primo flash uno non dica niente, però si mette in uno stato di agitazione. Scatterà ancora il fotografo? A quel punto ha fatto bene a spaccare. Massima solidarietà e speriamo che non capiti più. Deve passare il concetto che quando si è in tanti non si può avere il telefono acceso in teatro. Bisogna spegnerlo. Passare dalle parole ai fatti ed essere più severi da parte di chi di dovere, ma è chiaro che una maschera non può andare in platea a cercare una persona, o bisogna trovare qualche escamotage perché le persone siano disincentivate ad avere questo comportamento.


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Simeone Pozzini

Simeone Pozzini

È pianista e critico musicale. È stato tra i fondatori e successivamente direttore artistico del Festival ContemporaneaMente di Lodi. Ha registrato per Stradivarius. Ha fondato e dirige Il Corriere Musicale. È stato tra i collaboratori del canale televisivo Classica in onda su Sky.

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Commenti 5

  1. Giovanni Neri says:
    8 anni fa

    Da lungo tempo nel mio blog di recensioni musicali (kurvenal su wordpress) lamento la maleducazione (ma la parola giusta è ignoranza e stupidità) di parte del pubblico che assiste ai concerti. Recentemente da un palco ho potuto osservare due signore che per tutto un concerto hanno compulsato il cellulare salvo applaudire freneticamente quanto non avevano ascoltato. Male fanno le maschere a non intervenire con decisione di fronte alle luci dei telefonini: bisogna redarguirne dieci facendoli sentire dei maleducati per educarne cento e il lassismo del management del teatro è complice di questa situazione. Perchè quando si raccomanda al pubblico di spegnere i telefoni (che viene percepito come un invito a evitare il trillo) non viene affermato con forza che è ASSOLUTAMENTE proibita anche la semplice accensione e che al limite lo spettaore può essere invitato ad uscire, magari indicando la cosa anche sul biglietto e sul progtamma di sala? Se non si prendono rapidamente provvedimenti le sale da concerti e le opere diventerano un far west che allontanerà i veri spettatori. Meditate signori organizzatori, meditate…..

    Rispondi
    • Samuele De Mauri says:
      8 anni fa

      Buongiorno, d’accordo, pur tuttavia come fanno le maschere ad intervenire senza arrecare ulteriore disturbo al concerto, magari se un rompiscatole si trova in platea?

      Rispondi
  2. Simone Ferraresi says:
    8 anni fa

    Il commento di Francesco Maria è assimilabile alla problematica presentata in questo corto con Kirsten Dunst: http://vimeo.com/106807552

    Rispondi
  3. Achab50 says:
    8 anni fa

    Se si usassero vere macchine fotografiche, intendo dire quelle digitali con un sensore sufficientemente grande, non ci sarebbe necessità del flash, che per altro raggela ogni foto. E’ ormai diventata una manìa inarrestabile: durante i mottetti a S Tommaso di Lipsia una ragazza ha guardato l’intera esecuzione tramite un enorme tablet che teneva sollevato sopra le teste.
    Sono uscito io.

    Rispondi
  4. Poli Giampaolo says:
    8 anni fa

    Gentile staff del Corriere Musicale, a proposito del flash a Daniel Baremboim, ho vissuto qualcosa di simile al teatro Ristori a Verona. Era in programma una proiezione in diretta da Berlino, con i “Berliner”, e c’era l’espresso divieto di effettuare foto e videoriprese. A metà serata un anziano “signore”, che a Verona è famoso per disturbare in vario modo durante i concerti, s’è messo a fare foto col cellulare, e la ragazza che era di servizio gentilmente gli si è avvicinata per indurlo a smetterla. Lui subito ha obbedito. Il fatto è che questa scena così penosa si è ripetuta poi per altre 7-8 volte come minimo. Mi ha suscitato una tale rabbia che stavo alzandomi io per strappargli dalle mani il telefonino. Il soggetto avrà circa 80 anni, ma del rispetto altrui non ha capito ancora nulla. Saluti Poli Giampaolo

    Rispondi

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