di Veronica Pederzolli
«Voglio vedere finalmente qualche bastardo che la paga». Stefano Benni, sì, proprio lui, al suo esordio in qualità di librettista stravolge i tòpoi delle trame operistiche: alla famosa Gilda del «Ah, s’egli al mio amore divenne rubello, Io vò per la sua gettar la mia vita…» in Rigoletto, sostituisce una Gilda nuova, forte, consapevole: «[…] dall’inizio io son condannata / canta l’aria e il pubblico incanta / tanto sai che poi morirai / e i Duchi di Mantova non muoiono mai!». Ecco dunque che il 18 marzo presso il teatro Melotti di Rovereto conosciamo, in una sorta di omaggio ad Ariosto, La Gilda Furiosa, su libretto di Benni e musica di Giulia Tagliavia, classe 1986, davvero giovanissima se si considerano i traguardi ottenuti in campo compositivo, ultimo dei quali, nel 2015, la prestigiosa vincita del Premio Nazionale SIAE “Libera il Jazz”.

Lo scrittore dice di averla conosciuta quando aveva tredici anni, lei sorride divertita: erano diciannove. Fatto sta che da allora Giulia lo segue accompagnandolo al pianoforte nei suoi reading teatrali e quando nel 2013 riceve una commissione dal Teatro Comunale di Bologna in occasione delle celebrazioni per il bicentenario dalla nascita di Verdi, lancia a Benni la sfida per questo “extreme makeover” di Gilda: per l’occasione nasce un’aria, ora ne abbiamo un’intera opera. In verità di opera, a causa di mancanza di fondi, ancora non si può parlare: prodotta dal Centro Culturale S. Chiara di Trento in collaborazione con il Conservatorio F. A. Bonporti di Trento è stata proposta all’interno “Musica Macchina” come Concerto dinamico con regìa di Carmen Giordano, senza costumi o scenografie e con un discreto taglio rispetto all’originale.
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«Rimane del rimpianto perché non si è riusciti a fare l’opera intera», ci confida Benni, «mi piacerebbe molto vederla come l’ho pensata la prima volta: ora una grande parte è stata affidata alla voce narrante; è quindi una mezza opera che poi diventa un melologo, un ibrido, ma questo potrebbe paradossalmente dargli un’originalità». E diciamolo a La Gilda Furiosa originalità non manca. Ci si ritrova immediatamente trasportati al Triboulet, un incrocio tra tabarin e jazz anni ’30; l’ensamble strumentale (violino, violoncello, contrabbasso, flauto, clarinetto, fagotto, trombone, pianoforte, percussioni e timpani) diretta da Andrea Dindo viene trattata come vero e proprio elemento scenico: personaggi sono gli stessi musicisti di questo Triboulet che Benni immagina dotati di protuberanze caratteristiche del proprio strumento. Geniale la trovata di giocare ancora una volta con la tradizione operistica: a sintesi di tutte le Serpine, Despine e Zerline Benni propone il factotum Zerbino, il baritono Vadim Tarakanov, la cui profonda interpretazione convince immediatamente rispetto ai suoi buoni propositi e fa dimenticare le sue stesse parole d’attacco: «Quello che vedrete / È magia o realtà? / Cartapesta o sangue / Teatro o verità?».
Gilda, il soprano Maria Eleni Giuliani, una cantante colta in cerca della sorella viene contrapposta alla direttrice arrivista del locale Dorabella, presa in prestito da Benni dal Così fan tutte: della musica «politifonica», «dodecafonica», «sperimentale intellettuale celebrale» di Gilda non ne vuole sapere; le basta «un basso tunza tunza che ti faccia consumar molto alcool grande sbronza e un gran conto da pagar / Tun za tun za tun zazzaaaaa». Se il mezzosoprano Laura Hladilo in veste di Dorabella magnetizza lo spettatore con le sue movenze provocatorie, la presenza scenica e la grande malleabilità del gesto vocale che Tagliavia vuole in continua trasformazione, la bellezza e unicità del timbro della Giuliani emoziona nelle arie più intimistiche. Ultimo personaggio è Amadeus, critico musicale altezzoso e petulante, interpretato con fine ironia da Simone Marchesini: qui la Tagliavia propone un duo baritono e trombone, la cui ricerca timbrica fa quasi presagire allo spettatore il finale, dove il critico si trasformerà nel trombone con cui Gilda, dopo aver scoperto in Dorabella la sorella Doralice e in Zerbino il mago malefico, si troverà ad amoreggiare. Ecco dunque nel finale una “tradizionale” cabaletta, prima che l’incantesimo al Triboulet svanisca.
La frizzantezza e l’ironia della penna dello scrittore, che pur utilizzando un linguaggio da lui definito “ottocentesco”, risulta di una contemporaneità e varietà disarmante, è sempre tradotta fedelmente dalla Tagliavia, che pur rendendo esplicite le influenze stravinskijane e pucciniane, trova esplosioni sempre diverse in una contaminazione di generi davvero sbalorditiva: dal canone alla dance, passando per tutto ciò che vi è in mezzo. Parrebbe davvero che libretto e musica siano stati scritti assieme, ma Benni ci svela che il libretto, nato prima della musica, è riuscito ad essere tale solo grazie alla sua frequentazione di diversi mondi musicali e alla consapevolezza della poliedricità dello stile di Giulia. A tutti i futuri giovani librettisti consiglia proprio questo: «trovatevi un amico musicista e imparate ad ascoltare: il confronto tra la scrittura e la musica è molto affascinante ma non nasce in un giorno. Ogni tipologia musicale richiede un fraseggio che va ricercato, pur sempre all’interno del proprio stile: uno scrittore dovrebbe saper avere tante voci, senza aver timore di scrivere in un modo molto diverso dal libro prima»
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