Nasceva il 22 aprile 1916 a New York l’interprete che ha segnato un’epoca. Talento precoce, personalità dirompente, impegno civile. Morì nel 1999 a Berlino
di Stefano Cascioli
Ad un secolo esatto dalla nascita, il ricordo di Yehudi Menuhin rimane indelebile. Nonostante il gusto interpretativo sia notevolmente cambiato dall’epoca, ancora oggi ci sentiamo legati alla sua figura così coinvolgente, sia per l’infinito talento violinistico, che per l’enorme umanità che più volte ha saputo trasmettere. Una personalità dirompente, che desideriamo ricordare, delineando i tratti più salienti di un profilo leggendario.
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Nato il 22 aprile 1916 a New York da una famiglia di ebrei ashkenaziti, Menuhin è stato uno dei talenti più precoci della storia del violino, bambino prodigio che già all’età di sette anni incantò il pubblico di San Francisco, eseguendo il Concerto op. 64 di Mendelssohn. Questo fu solo l’inizio di una carriera folgorante, la cui notorietà aveva raggiunto livelli mondiali nel 1926, quando diede la prima tournée europea, in cui eseguì la Sinfonia spagnola di Lalo e il Concerto di Čajkovskij. In questo periodo ebbe l’occasione di conoscere e di collaborare con le più grandi personalità musicali del tempo, tra cui Kreisler, Bruno Walter, Elgar, Ansermet, Beecham, Fritz Busch, mentre nel 1929 si trasferì a Parigi, per studiare con George Enescu, verso il quale nutriva una profonda stima.
Particolarmente significativo fu l’incontro con Eugene Ysaÿe che, dopo aver elogiato l’interpretazione della Symphonie Espagnole, chiese a Menuhin di suonare un arpeggio di La maggiore, fatto che lo sorprese. Vista la disarmante facilità, infatti, non si era mai preoccupato di studiare la tecnica. Ysaÿe, in quel momento, gli suggerì di esercitarsi anche nelle scale e negli arpeggi, ma il giovane Yehudi, preso dalle numerose tournées, non fece molta attenzione alle raccomandazioni del grande maestro belga. Soltanto nel 1936 Menuhin si rese conto delle carenze strutturali che la mancanza di tempo non gli aveva permesso di colmare. Così, all’età di venti anni, decise di prendersi un periodo di tregua dai concerti, per riflettere sulla tecnica, maturando il proprio modo di suonare.
Negli anni successivi si accostarono alle consuete performances anche le prime incisioni per HWM (che poi diventò EMI ed oggi Warner). L’ampliamento del repertorio fu notevole, sia per quanto riguarda la musica contemporanea (il concerto di Elgar e la sonata per violino solo che Bartόk gli dedicò), che per le nuove scoperte musicologiche. A Menuhin, infatti, dobbiamo la notorietà del concerto di Schumann, oltre che alla riscoperta di alcune pagine violinistiche di Mendelssohn, come il concerto in re minore e la terza sonata in Fa.
A partire dal secondo dopoguerra, Menuhin si impegnò anche sul fronte sociale e umanitario. Si esibì più volte a supporto di profughi e vittime di guerra (l’esecuzione, nell’aprile 1945, di fronte ai deportati del lager appena liberato di Bergen Belsen con Benjamin Britten è passata alla storia), inoltre si interessò attivamente alla costituzione dello Stato d’Israele. Strenuo difensore della pace, collaborò già dal 1947 con Furtwӓngler e poi con Karajan, simbolo di una riconciliazione tra popolo ebraico e oppressori tedeschi, che all’epoca venne vista con molta diffidenza. Negli anni seguenti, con l’avanzare dell’età, Menuhin si dedicò intensamente alla direzione d’orchestra, organizzò numerosi festival e fondò un prestigioso concorso a lui intitolato, oltre che una scuola di violino a Londra.
Parlare oggi di Menuhin significa proiettarsi in un mondo musicale molto lontano dal nostro, e sarebbe oltremodo scorretto commentare le sue interpretazioni con una visione attuale. Più interessante, invece, è interrogarsi sull’importanza della figura in relazione ai suoi tempi, e quanto all’epoca aveva portato di nuovo all’interpretazione violinistica. È stato senza dubbio il violinista più carismatico del primo Novecento, un prodigio come pochi nella storia, che rappresenta alla perfezione l’immagine del virtuoso. Un musicista che, pur provenendo dall’estetica postromantica, aveva dimostrato grande maturità nell’accogliere le nuove possibilità tecniche ed espressive dello strumento. In particolare, fu tra i primi ad utilizzare il vibrato continuo, che da poco aveva scoperto Kreisler, sviluppando così un modo di suonare che ancora oggi fa parte delle basi della scuola violinistica, inoltre di Kreisler eseguiva le cadenze scritte per i concerti di Brahms e Beethoven, poco attente allo spirito originario delle opere, ma di certo scritte con grande sapienza dello strumento. In queste pagine emergevano appieno i virtuosismi più sfavillanti, che Menuhin interpretava con una maestrìa che non dimenticheremo mai.
https://www.youtube.com/watch?v=1eiK8JphmXw