di Cesare Galla
Le Quattro Stagioni sono diventate, negli ultimi anni, un cantiere aperto. Di più: una sorta di “incubatoio” creativo, non solo e non tanto dal punto di vista esecutivo, ma come punto di riferimento compositivo. Non è un caso che questo avvenga con i quattro celeberrimi Concerti per violino e archi di Antonio Vivaldi, pubblicati nel 1725. La raccolta in cui sono inseriti s’intitola, com’è noto, Il Cimento dell’Armonia e dell’Inventione. Ed è esattamente questo che sta accadendo oggi: un rinnovato “cimento” di esecutori e compositori, che si confrontano in una sorta di affascinante sfida musicale con la più celebre musica “a programma” mai scritta, con i pezzi più popolari che la musica cosiddetta classica abbia consegnato dalla sua storia alla contemporaneità.
L’ultima “inventione” in ordine tempo è quella della violinista Sonig Tchakerian e del sassofonista jazz Pietro Tonolo, affiancati dall’Orchestra di Padova e del Veneto. Un progetto originale che non appare poi troppo lontano nelle premesse (molto negli esiti e nella stessa articolazione formale) dalla clamorosa rivisitazione delle Quattro Stagioni realizzata qualche anno fa dal compositore anglo-tedesco Max Richter.
In quel caso, le partiture vivaldiane sono il punto di partenza di una complessa operazione di destrutturazione-ricostruzione che giustifica pienamente il termine “ricomposto”, che è poi la parola chiave del titolo del lavoro (Recomposed by Max Richter: Vivaldi, the Four Seasons). Il risultato è seducente al punto da essere quasi ruffiano: una matura evoluzione dello stile minimalista adottato all’inizio della sua carriera da Richter (oggi si avvicina 50 anni), che offre in realtà corpose soluzioni armoniche e sonore pur nella reiterazione motivica dal carattere tipicamente ipnotico. Ma del resto, la forma a ritornello dei Concerti vivaldiani, con le sue ripetizioni schematiche, non indica anche questa strada?
Piuttosto, quel che appare evidente nel “passaggio” da Vivaldi a Richter è l’abbandono del descrittivismo come valore autonomo. Le Quattro Stagioni “originali” continuano ad affascinarci perché sono musica pensata per avere un forte e immediato impatto evocativo; quelle di Max Richter sono una “sinopia” di squisita fattura che attinge la dimensione della musica astratta. Solo l’evocazione dei temi originali riporta l’ascoltatore al modello. Ma visto che per tre quarti il materiale è del tutto nuovo, si capisce che il viaggio ha portato l’autore e porta gli ascoltatori molto lontano.
Il 17 maggio Sonig Tchakerian realizzerà al Teatro Olimpico di Vicenza, per l’inaugurazione del festival “Settimane Musicali”, la prima esecuzione italiana di Recomposed by Max Richter: Vivaldi, the Four Seasons. Nel frattempo, con Pietro Tonolo ha seguito un altro percorso. Nel disco di freschissima uscita che rappresenta il punto di arrivo di un progetto nato “dal vivo”, la scelta è da un lato di restituire le Quattro Stagioni “dal vero” e dall’altro di andare oltre. E poiché forse non è vero che non esistono più le mezze stagioni, almeno parlando di musica, con una brillante “inventione” Pietro Tonolo s’incarica di “arricchire” la pittura vivaldiana mettendo a fuoco quelle che chiama appunto mezze stagioni. Ed ecco allora il titolo: Vivaldi Seasons and mid-seasons.
I pezzi originali sono dunque quattro, e tre si configurano come veri e propri Intermezzi nuovamente composti per l’antico “teatrino” vivaldiano. Fra la Primavera e l’Estate ci sono i tre minuti e mezzo di Oziando; fra Estate e Autunno i tre minuti o poco più di Tempesta; fra Autunno e Inverno i quattro minuti e mezzo di Nostalgia. La specifica delle durate serve per cogliere l’attenzione di Tonolo nel costruire a suo modo, con questi primi tre brani, una sorta di quinto Concerto. Ascoltandoli in successione diretta, lasciando cioè per un attimo da parte le Quattro Stagioni, l’effetto è notevole. Invertito il rapporto fa tempi svelti e lenti di Vivaldi (Tonolo apre e chiude lentamente e riserva la brillantezza di tempo al movimento di mezzo), il musicista veneziano di oggi rende omaggio al suo antenato di tre secoli fa con un lavoro tutto deciso dalle atmosfere, dalla “percezione” della materia tematica, da colori diversi (sax tenore e soprano) che radicalmente sviluppano la tavolozza timbrica del Prete Rosso e disegnano un panorama indubbiamente familiare ma con tutta evidenza fantastico, per certi aspetti onirico.
Ma poi, questi pezzi sono fatti per essere ascoltati senza soluzione di continuità fra le Stagioni, che Sonig Tchakerian s’incarica di illuminare in filologica consapevolezza e nitido virtuosismo, senza esasperazioni di “prassi”, forte della sua condizione di brillante erede di una gloriosa scuola violinistica come quella veneziana e veneta del secondo Novecento. E ascoltati così assumono il sapore – a seconda dei casi – di un commento, di un contraddittorio, di un’evoluzione di stile e pensiero che ha il suo culmine e lo scioglimento in Fuori Stagione, l’unico brano che tributa un omaggio fatto anche di citazioni, e non solo di intenzioni e di invenzioni, all’arte di Antonio Vivaldi.
Pubblicato il 2015-03-19 Scritto da CesareGalla