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Sala del Conservatorio gremita, l’altra sera (12 settembre), a Torino, per il Concerto di Salvatore Accardo e del suo ensemble, nell’ambito di MiTo.
Era per festeggiare i 100 anni della blasonata Pro Cultura Femminile che tanta parte ebbe nella vita musicale cittadina: associazione tuttora dinamica ed attiva in città per la quale, in anni lontani, suonarono e diressero illustri musicisti di levatura internazionale, svolgendo un irrinunciabile ruolo nella vita culturale torinese del Novecento, come hanno ricordato in apertura l’attuale presidente ed il Sindaco Fassino che ha portato i saluti della città.
Occasione speciale dunque e, conseguentemente, un menu davvero speciale e prezioso, per intenditori. Un programma raffinato che ha avuto il clou nel superbo «Concert en ré pour violon, piano et quatuor à cordes op. 21» dell’elegante Chausson, debitore alle maniere del suo maestro César Franck e così pure a Debussy, ciò nonostante originale nella scrittura sia melodica sia armonica sempre estremamente sorvegliata e colta. Di pagina bellissima si tratta, ancorché poco eseguita, ed è un peccato. Ad affiancare Accardo c’erano Laura Gorna e Laura Marzadori (violini) Francesco Fiore (viola) Cecilia Radic (violoncello) e Laura Manzini (pianoforte): a quest’ultima va un plauso speciale per l’esuberanza della sua interpretazione, la precisione tecnica e l’appropriatezza stilistica.
E il pianoforte, col violino s’intende, ha una parte di notevole rilievo in questo pezzo eccellente dal forte appeal, già a partire dal variegato primo movimento, con frasi effusive e fluenti a sottolineare l’armonia pregnante posta in atto da Chausson. I sei, coagulati attorno al pianoforte dalla lussureggiante scrittura ed al violino solista spesso impegnato in impervi passaggi, hanno trovato un’ottima intesa, restituendo al meglio la pagina che si è apprezzata in tutta la sua freschezza e fragranza. Soprattutto nei tempi estremi; ma anche l’ibridata Sicilienne striata di spleen e prossima alle maniere di Fauré ha regalato emozioni; e così pure il Grave centrale dalle plumbee atmosfere, venato di cupa desolazione, poi spazzata via dalla radiosa ventata di aria pura e di luce che si sprigiona nell’incandescente finale. Applausi convinti e meritati per un’interpretazione innegabilmente ricca di seduzioni e di charme.
Non tutto era perfettamente a posto, invece, nel brahmsiano «Sestetto per archi op. 18» eseguito ad inizio di serata (vi hanno preso parte l’ottimo Simonide Braconi alla viola e l’esperto Rocco Filippini, violoncellista di lungo corso). Il suono talora opaco, lo stacco dei tempi in qualche tratto incerto, alcuni dettagli non del tutto messi a fuoco hanno in parte compromesso il clima della pagina: che risultava lontana dalla primaverile dolcezza e giovialità che dovrebbe di norma caratterizzare il giovanile capolavoro del grande musicista amburghese. Ciò nonostante nello Scherzo non sono mancati i momenti vividi e le immagini apprezzabili e, in parte, anche nel conclusivo Rondò. Si tratta pur sempre di interpreti di alto livello, ci mancherebbe, ma si sa, anche i grandi non sempre sono al top. E in altre occasioni, ne siamo certi, il «Sestetto» ha raggiunto temperature emotive più alte. Resta, per contro – merita ribadirlo – il ricordo indelebile di una interpretazione straordinariamente coinvolgente del raro Chausson.
Attilio Piovano