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Play it! Play what?

di Federico Capitoni
21 Ottobre 2012
in CONCERTI, RECENSIONI
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Home RECENSIONI CONCERTI
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Giorgio Battistelli (foto di Roberto Masotti)

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Giovani e vecchi compositori si confrontano nella prima edizione del festival fiorentino. Ma la musica nuova è davvero musica rinnovata?


di Federico Capitoni


S pesso – e accade quasi sempre a tavola – ci viene chiesto dai cosiddetti “non frequentanti” la musica classica (o colta, o forte, fate voi) di elencare quali sono i compositori viventi (e magari vivi).
Non quelli degni di nota, ma proprio quelli che “sono”, che esistono, perché – credeteci – in molti non sanno che abbia luogo una musica contemporanea che non sia quella pop. Ecco, quando ci chiedono questa lista, si comincia a snocciolare con fatica qualche nome, con sforzo, come quando si è chiamati a raccontare delle barzellette: le conosciamo ma dobbiamo ingranare un po’ per ricordarle.

Ora, a Firenze, il 6, 7 e 8 ottobre, Giorgio Battistelli (uno dei primi che vengono in mente quando ci chiedono il suddetto elenco) ha chiamato a raccolta 25 compositori italiani, cercando di coprire tutte le generazioni (il più “old” era Bussotti – 80 anni – il più giovane Daniele Ghisi – 27), che hanno proposto le loro creazioni più recenti in sei concerti: Play it! il nome del festival, benemerita l’iniziativa. Essere a Firenze in quei giorni significava aver completato la nostra lista almeno per metà. Non che i compositori italiani siano in tutto una cinquantina, ma se non altro si poteva avere una parziale visione del panorama musicale contemporaneo nostrano che, dobbiamo continuare a dirlo – qualora i musicisti non se ne siano accorti, è piuttosto stantio. È naturale che al cospetto di una ventina di nuove composizioni ciò che siamo portati a salvare sia normalmente un decimo, ma più che una valutazione qualitativa (non era una gara, e non c’erano certo pezzi indecenti) quel che ci preme ormai è il rintracciamento di un nuovo corso sonoro, quella novità che possa indicarci la strada che la musica sta prendendo.

E invece dalla vecchia scuola a quella nuova non sembra essere cambiato nulla. I “vecchi” compongono come sempre hanno fatto – e va bene. I giovani scrivono musica ricalcando le orme dei loro maestri – come biasimarli. Ma allora da dove dovrebbe arrivare questa ventata di novità? Certo, potremmo parlare dell’interessante pezzo di Christian Cassinelli, Dialogo dipinto, che nel suo basarsi su una disposizione triangolare (ben studiata) dell’orchestra d’archi, proponeva un’indagine sul suono, se non innovativa, per lo meno stimolante; oppure della sintesi, della densità di Due colori, nella notte, il pezzo di Francesco Antonioni, uno che ha sempre evitato i lunghi polpettoni e che in questo caso ci ha regalato degli intensi cinque minuti carichi di significato. Poi, che dire: il Puccini alla caccia di Francesco Filidei era divertente, intelligente, ma poteva stupire soltanto chi non ha alcuna frequentazione della musica del ’900 (e – non dimentichiamolo – siamo da più un decennio nel secolo successivo).

Se si apriva il libretto del programma del festival, si poteva notare quante parole accompagnavano il titolo (già spesso fuorviante) di ogni composizione. Una delle prime cose che la musica contemporanea deve imparare a fare è liberarsi dalle parole o dalle immagini che esplicherebbero le composizioni. Non è possibile perseverare a mettere in dubbio l’autosufficienza della musica in questo modo (questa è l’impressione che si dà ai profani ascoltatori). Salvo pochissimi pezzi (forse uno solo, quello di Marcello Filotei, in cui essendoci una parte fondamentale recitata, le spiegazioni avevano senso), nessuna di quelle descrizioni scritte dagli stessi autori aiutava a capire meglio (o a capire e basta) la composizione. Le parole, se hanno cittadinanza nell’universo musicale, devono succedere e non precedere la musica.

Così come, per favore, si evitino assemblee fallaci come quella tenutasi il 7 su Gli stati Generali della Creatività e delle Arti, ove ognuno degli intervenuti dice la sua senza che si eserciti un confronto, un dibattito critico. Prassi che appare sterile; risultato infatti non pervenuto.

La maggior parte della musica che abbiamo ascoltato non rimarrà, ma Battistelli – almeno nelle intenzioni – ha fatto una cosa bellissima. Nel riunire i compositori in una tre giorni di musica nuova, non ha solo fornito buona parte di quel famoso elenco ai cittadini: ha imposto ai compositori di ascoltarsi, cosa che normalmente – e scandalosamente – non avviene quasi mai.

© Riproduzione riservata

Tags: Giorgio BattistelliPlay it
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Federico Capitoni

Federico Capitoni

Ragazzino della critica musicale, specialista delle cose inutili, si è laureato prima in Scienze della Comunicazione e poi in Filosofia. Scrive per la Repubblica, il Sole 24 Ore, Il Fatto Quotidiano e una miriade di testate di argomento musicale. È stato caporedattore del bimestrale Musikbox e direttore (nonché co-fondatore) di Rondò. Quando l’ufficio amministrativo di Via Asiago 10 in Roma si ricorda di lui, collabora con Radio Rai. È autore, assieme a Massimo Balducci, del libro Guida ai musicisti che rompono. Da Beethoven a Lady Gaga, e ha avuto un’intensa attività di ghostwriter (per autori che oltre a non averlo accreditato non l’hanno mai pagato). Dotato di grande senso del pudore conserva tutte le sue composizioni in una cartella del suo hard-disk denominata “shit”. È giovane.

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Commenti 7

  1. stefano says:
    11 anni fa

    Finalmente un pezzo coi controfiocchi! Non ero a firenze quindi non posso giudicare, però l’articolo oltre a essere ben scritto spiega ottimamente la situazione. Mi sono imbattuto per caso in questo sito e sono contentissimo di averlo trovato. Finalmente i critici hanno un luogo per sfogarsi visto che sui giornali cose del genere non le leggiamo più. Continuate così!

    Rispondi
  2. Federico Capitoni says:
    11 anni fa

    Viel,
    vedo che il termine “tranchant” l’ha colpita molto… :)
    Non mi costringerà, spero, a spiegare il perché abbia ritenuto il primo commento non meritevole di spiegazioni: il non capire il riferimento alle barzellette e chiudere con la battuta “forse lei è più aggiornato di me”, come a riferirsi a uno che per caso è passato davanti a un teatro e vi è entrato a curiosare per poi scrivere un commento, non meritava altro trattamento. Quanto al suo intervento, siamo d’accordo, mi pare. Solo che il ricordarsi data e luogo di un evento che ha straordinariamente raccolto molte persone è già la spia della situazione: dovrebbe andare sempre così, se ce ne ricordiamo vuol dire che l’avvenimento è troppo isolato.
    L’esiguità del pubblico poi non può essere la misura della qualità della musica, ma è un dato su cui riflettere (e lei sa che alcuni sono così malati da fare a gara a chi di pubblico ne ha meno, secondo l’equazione – sbagliata, appunto – : poche persone = grande musica).
    Se i musicisti e i critici di area classica faticano a capire il legame tra tradizione e musica del 900 non lo so. Io so di non essere un critico di area classica (se con questa espressione intende cultori della musica classica) ma un critico musicale e basta, perché quando è il momento mi occupo di Perotinus come di Paul McCartney e ogni volta che mi capita di fare una lezione di storia della musica pongo l’accento proprio sulle connessioni tra la musica antica e quella di oggi.
    Non riduca poi la musica contemporanea all’esperienza elettronica (vedo, comprensibilmente, che tende a farlo): il computer fa proprio tutto, è vero, anche scrivere partiture!
    Concordo, non andiamo oltre (almeno qui), che finiamo per affrontare così superficialmente la questione da danneggiarci da soli.

    Saluti, e grazie,
    Federico

    Rispondi
  3. Massimiliano says:
    11 anni fa

    Gentile Capitoni, certo che mi confronto con il pubblico di oggi e non è un caso infatti se sto svolgendo un dottorato di ricerca proprio sulla comprensione dell’ascolto musicale.
    È indubbiamente vero che il discorso richiederebbe una discussione più lunga e altre sedi, ma proprio per questo vedo con diffidenza i giudizi un po’ tranchant e senza replica.
    Cercherò di essere il più breve possibile. Personalmente posso dire che il pubblico della contemporanea esiste, eccome. Lo dimostrano i concerti di Sincronie, che sono sempre a piena capienza e anche un evento organizzato a Milano nel 2003 in cui abbiamo raggiunto l’insospettabile cifra di più di 1000 persone di pubblico. Certo se vogliamo confrontarci con il pubblico di altri generi si tratta comunque di cifrette, ma lamentarsi di non avere il pubblico di massa non sarebbe che rinnovare le stesse infatuazioni che poi cerchiamo di fuggire facendo musica… non di massa!
    Esiste una ideologia corrente che vuole la musica contemporanea di difficile ascolto se non “contro natura” e per dimostrarlo si guarda all’esiguità del pubblico. Niente di più sbagliato. E lo dimostra il grande pubblico della techno sperimentale e dell’elettronica “spinta” in genere che si entusiasma per textures sonore che a volte farebbero impallidire un Ferneyhough.
    Finisco, anzi “trancio”: i musicisti (e i critici) di area classica spessissimo faticano ancora a capire quanto la musica del 900 sia legata a doppio filo con la tradizione classica perché di essa fa parte. L’unica cosa che salva ancora (ma per poco) la musica classica più tradizionale dal pubblico di massa è l’aura (sempre più debole) di rispetto per l’antichità. Il pubblico non si chiede oggi chi è Romitelli, ma cos’è una partitura (come mi ha fatto notare un amico compositore che ha avuto appunto questa esperienza), in quanto la gente non capisce nemmeno che senso abbia scrivere musica su un foglio, quando il computer fa tutto!
    Ma qui siamo andati oltre e non voglio abusare di questo spazio. Ci sarebbero però molte altre cose da dire…

    Rispondi
  4. Federico Capitoni says:
    11 anni fa

    Caro Viel,
    conosco il suo nome e la sua musica (che tra l’altro apprezzo). Così come conosco Romitelli e la scena giovane e viva di cui mi parla. Mi sembra abbastanza chiaro – e vedo che anche a lei non è sfuggito, sicché mi chiedo il motivo del suo commento – che il mio pezzo riportava quanto visto e sentito a Firenze nei tre giorni del festival “Play it!”. E basta. Io ho dato conto di una situazione parziale seppur – lei lo sa – piuttosto indicativa. E non ho mai parlato (anzi ho sottolineato il contrario) di scarsa qualità delle composizioni. Non parliamo di compositori bravi o no; parliamo di novità, di originalità.
    Io capisco la sua volontà di staccarsi da quel gruppo di compositori che si ritengono vetusti portando come esempio quello suo e dei candidati che lei stesso seleziona, ma parliamoci chiaro e obiettivamente: lei in che mondo vive?
    Io vivo in un mondo in cui la maggior parte delle persone non sanno né chi sia lei né chi sia Romitelli. Ma non sanno pure chi siano Sciarrino, Battistelli, Berio o Stockhausen. Prima che compositore (non professionista) e critico musicale (di professione), sono un ascoltatore. E ultimamente – dopo averlo tanto criticato – comincio a schierarmi dalla parte del pubblico. Quel pubblico che a Firenze, nonostante la gratuità di alcuni concerti e il prezzo irrisorio di altri, scarseggiava. Le sale erano semivuote e la metà delle persone che c’erano si conoscevano tutte: compositori, amici di compositori, parenti dei compositori, giornalisti e relativi partner. Ora, parlo a lei ma senza avercela con lei ovviamente: vi siete mai confrontati con il vostro primo (se non l’unico) interlocutore, ossia la gente? Lo sapete che “la gente” quando le si parla di musica contemporanea ancora ti blocca e ti dice (lo giuro, mi è successo l’ultima volta proprio a Firenze!): “un attimo, che intendi per musica contemporanea: Allevi e Einaudi?”. Non mi prenda per superficiale, non approfondisco il discorso soltanto perché qui si accenderebbe un dibattito estetico non di poco conto, però cari compositori (ripeto, parlo a tutti, anche a quelli che stimo): fatevi delle domande, se avete la sanità mentale di esservi resi conto che le persone da voi sono lontane (e vorrebbero solo capire chi siete e che fate). Se invece pensate che vada bene così, ok: in bocca al lupo.

    Rispondi
  5. Massimiliano Viel says:
    11 anni fa

    Gentile e tranchant Capitoni,
    io invece la musica contemporanea la frequento giornalmente in quanto compositore, interprete, docente di conservatorio e organizzatore di eventi e devo dire che questa non assomiglia per niente a come la dipinge lei nel suo articolo. Probabilmente (anzi sicuramente) l’evento a cui ha partecipato corrisponderà a come l’ha descritto: non entro in merito né all’organizzazione, né alle scelte di Battistelli e neppure all’impressione che può averle fatto.
    Sappia però che esiste anche un altro mondo, che è anche diffuso internazionalmente. Ci sono compositori e musicisti italiani che sanno affrontare la contemporaneità sbarazzandosi (non necessariamente in modo irrispettoso) dei loro maestri, buoni o cattivi che siano. In questo momento ad esempio sto selezionando i candidati di un concorso che richiedeva anche a compositori usciti dal conservatorio di “remixare” la musica di Fausto Romitelli (un compositore che ha il solo difetto di essere morto molto giovane ma che si può a tutti gli effetti definire “di oggi”) e devo dire che la qualità generale è piuttosto alta e gli esiti assolutamente contemporanei. E non nel senso del pop.

    Rispondi
  6. Federico Capitoni says:
    11 anni fa

    Samuele,
    La ringrazio del messaggio, ma il modo in cui è articolato mi costringe a essere tranchant: sì, frequentando quotidianamente la musica d’oggi, sono presumibilmente più aggiornato di Lei.
    Cordialità,

    Rispondi
  7. Samuele De Mauri says:
    11 anni fa

    Gentile Capitoni,
    ho letto il suo articolo con interesse ma non sono d’accordo su alcuni aspetti. Intanto, è sicuro che i giovani scrivono proprio come i “vecchi”? Io non sono un competente in senso stretto, ho assistito ad alcuni dei concerti, mi sembra però che ci siano molte diversità. E mi risulta, da qual che ho potuto vedere, che la disposizione “trangolare” del brano di Cassinelli (disposizione iniziata con Gruppen di Stockhausen) si sia potuta realizzare solo in parte per problemi tecnici. E’ cosi? Ed è davvero sicuro che quando ci chiedono la lista dei compositori dobbiamo snocciolarli come ricordando barzellette? Lei mette insieme i compositori e le barzellette. E non è chiaro se quando definisce “stantio” il panorama nostrano a cosa si riferisce. A me sembrano molto attivi e vivaci i compositori italiani, ma forse lei è più aggiornato di me. Cordialmente

    Rispondi

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