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Al Festival Internazionale di Musica eccellente performance della pianista russa, primo premio al concorso Chopin di Varsavia nel 2010
di Andrea Bellini
U na serata carica di emozioni ha aperto la 24° edizione del Festival Internazionale di Musica che si tiene come tradizione nel chiostro della Basilica di Santo Stefano di Bologna. Il luogo di bellezza mozzafiato, che fa da corona alla pedana su cui troneggia la sagoma di uno Steinway con al centro un pozzo ad indicare passato e futuro nel medesimo spazio, attende le mani agili e potenti di Yulianna Avdeeva (primo premio al più celebre tra i festival pianistici, lo Chopin di Varsavia). Mentre la sera si spegne ci ritroviamo immersi nell’atmosfera medievale del chiostro “modernizzata” dai tralicci e dalle luci, da cui emergono le prime note di uno Chopin quasi sussurrato; la sensazione di una sospensione del tempo è una di quelle che solo la musica è in grado di creare. E che il talento di Yulianna abbia colpito la mente ma anche il cuore del pubblico lo dicono gli applausi ed i “brava” che sottolineano le ultime note della strepitosa Sonata n.2 op.14, opera di un giovane Prokof’ev (1912) e dedicata alla memoria dell’amico Maximilian Schmidthof, morto suicida poco prima del completamento della composizione. Sonata che richiede non solo una estrema perizia tecnica (che la pianista moscovita ha in massimo grado), non solo un uso sagace della forza e una notevole precisione ritmica ma, ed è qui la buona novella, un estremo controllo delle emozioni, restituite con carattere diverso: dall’ironia di certe frasi al terrore di altre, quasi che l’autore volesse dipingere malinconia e sarcasmo, come ha dichiarato la stessa Avdeeva in un’intervista recente. Emozioni controllate che non vogliono dire trattenute, bensì compenetrate una nell’altra, in un crescendo di stupore e bellezza. Se Prokof’ev è stato il vertice di questa serata, tutto il primo tempo dedicato a Chopin non è stato certamente da meno: dai due primi Notturni d’apertura, come dicevo quasi sussurrati, con un uso mai stucchevole del rubato, come a voler sondare in tutte le dimensioni le profondità del pensiero musicale del Grande Polacco; così pure in brani del tutto aproblematici per l’ascolto come le Mazurche nelle quali, assieme ai Valzer, la Avdeeva esalta i contrasti più che dare una visione rasserenante; come ad esempio nell’ultima del trittico dell’op. 50 qui presentata, quella in do diesis minore, sicuramente la più intensa delle tre.
Il primo tempo del concerto ha avuto l’apice con la prima delle quattro Ballate op.23 di Chopin, eseguita quasi in apnea: è un brano che ha un carattere decisamente rapsodico, più vicino ad una fantasia; e dopo la suggestiva Barcarolle, pagina purtroppo poco eseguita il cui andamento ricorda, nello spirito più che nella forma, gli omonimi brani di Mendelssohn, arriva prepotente lo Scherzo n.2 op.31 , composizione che ci riporta alle strepitose capacità tecniche di Yulianna e che suona quasi come un poema sinfonico, tanto è carico di temi e atmosfere; a tratti si odono echi di Mussorgsky o Debussy, ed è singolare che nessun compositore ne abbia colto i caratteri di “sinfonia in potenza” e pensato una versione orchestrale.
L’unica perplessità del concerto è l’esecuzione della celeberrima Pavane pour une infante défunte di Ravel. È noto l’orrendo (ma poi non tanto errato) nomignolo, l’orologiaio, con cui veniva soprannominato il compositore basco, ma è proprio la precisione ritmica uno dei caratteri della musica di Ravel e che qui manca del tutto a vantaggio di un uso ancora del rubato e di atmosfere romantiche che sanno di arbitrario. Precisione nella scansione che avremmo poi ammirato di nuovo in Prokof’ev; ma purtroppo Ravel non è Chopin e non è nemmeno Debussy, anche se il finale della Sonatine richiama quello del Gradus ad Parnassum dai Childrens Corner. E proprio la Sonatine, pezzo in cui Ravel mostra tutto il suo modernismo, riporta la giovane interprete russa ad un livello altissimo.
Una annotazione è doverosa: in un momento così delicato per le sorti della cultura di questo Paese e, soprattutto, in questo particolare momento reso ancor più delicato dagli ultimi eventi che hanno dolorosamente colpito l’Emilia, è da sottolineare la presenza numerosa del pubblico, quasi in un abbraccio simbolico ad uno dei vanti monumentali della città; e a maggior ragione è significativo che l’intero incasso della serata sia devoluto ai restauri della Basilica, bene preziosissimo ed unica al mondo nel suo genere. È da premiare la forza di un gruppo di lavoro (Associazione “Inedita”), di cui cito solamente il direttore artistico, Alberto Spano, che ha messo in piedi un cartellone di altissimo livello, che dopo la Avdeeva (qui presente grazie anche alla collaborazione con la Gioventù Musicale d’Italia di Modena) vedrà succedersi, in una serie di appuntamenti tutti “al femminile”, Nicky Nicolai, voce jazz tra le più importanti in Italia accompagnata dal sax di Stefano di Battista, la violinista Francesca Dego con l’integrale dei 24 Capricci op.1 di Paganini, e a chiudere la cantante pop inglese Sarah Jane Morris con una serata particolarissima assieme al Bologna Cello Project diretto da Enrico Melozzi.
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