di Monika Prusak
Con il consueto doppio appuntamento pomeridiano e serale, l’Orchestra Sinfonica Siciliana ha presentato un programma dedicato alla memoria della Shoah: Carlo Boccadoro ha diretto Fratres per archi e percussione di Arvo Pärt, l’Ouverture tragica di Andrzej Panufnik in prima esecuzione italiana e la Sinfonia n. 3 op. 36 di Henryk Mikołaj Górecki con la solista soprano Giulia Peri.
Un concerto meditativo, risultato di un accostamento mirato di tre composizioni dal carattere profondo e riflessivo provenienti da paesi dell’Europa Est, ha portato gli spettatori del capoluogo siciliano in una dimensione insolita, contemplativa e a tratti complessa. Il delicato minimalismo sacro di Pärt ha dato una impronta espressiva all’intera serata, invitando a un momento di raccoglimento spirituale immerso fra le dinamiche moderate degli archi e la ripetitività tipica della scrittura minimal. Pärt ha trascritto Fratres in numerose versioni strumentali: dalla prima variante per tre strumenti ad libitum del 1977 all’ultima per un quartetto di sassofoni del 2010. L’interpretazione della versione proposta dall’OSS ha mantenuto il clima mistico e la caratteristica leggerezza della scrittura del compositore estone, complice la mano sapiente di Boccadoro, che ha curato l’esecuzione con precisione ed espressività.
L’Ouverture tragica di Andrzej Panufnik, presentata in prima esecuzione italiana (la prima assoluta ebbe luogo a Varsavia nel 1943 e fu diretta dallo stesso compositore), è una composizione di breve durata, ma allo stesso tempo di forte impatto espressivo. Composta nel 1942, perduta durante la Rivolta di Varsavia del 1944, fu ricostruita subito dopo la guerra e dedicata al fratello di Panufnik, che perse la vita proprio nei combattimenti della Rivolta. La composizione si basa su un breve motivo dal quale si sviluppa una struttura più elaborata a due temi, che conduce a un finale affidato principalmente alle percussioni dal carattere disperato e violento, un ultimo “grido” condiviso successivamente dall’intera orchestra. Nonostante la forte drammaticità e una netta drammaturgia dell’Ouverture, Boccadoro ne propone una interpretazione piuttosto rimessa, come se volesse tessere un fil rouge tra la composizione di Panufnik e quella di Pärt. L’operazione riesce a mantenere un legame espressivo, ma toglie allo stesso tempo la giusta intensità alla scrittura del compositore polacco, traendone un aspetto piuttosto meditativo. Risulta, invece, ben calibrato e suggestivo il contributo delle percussioni dell’Orchestra Sinfonica Siciliana.
L’ultima e la più estesa posizione del programma, Sinfonia n. 3 op. 36 detta Dei canti di dolore di Henryk Mikołaj Górecki, è senza dubbio una delle pagine più toccanti della musica polacca del secondo Novecento. Composta nel 1976, la sinfonia elabora tre testi legati ai temi della maternità e della separazione dovuta alla guerra: il primo proviene da un lamento del XV secolo, nel quale la Vergine Maria rivolge le ultime parole a Gesù morente; il secondo è tratto da una frase scritta da una ragazzina sul muro di una prigione della Gestapo; il terzo deriva da un canto popolare nel quale una madre piange la scomparsa del figlio, caduto giovanissimo durante la rivolta della Slesia. Il soprano fiorentino Giulia Peri rende l’esecuzione particolarmente riuscita, grazie alla sua voce delicata e malinconica, nonostante qualche imprecisione del tutto comprensibile nella pronuncia della lingua polacca. Boccadoro sceglie tempi piuttosto scorrevoli, rischiando di cadere in una leggerezza eccessiva: rimane, infatti, al limite di una espressività idonea per temi di dolore e di morte. Eppure, nel terzo movimento la composizione raggiunge il climax: la semplice melodia popolare del soprano si sovrappone ai timbri ricercati dell’orchestra. Le indicazioni del compositore sono singolari per tutti e tre movimenti: Lento – Sostenuto tranquillo ma cantabile, Lento e largo – Tranquillissimo, Lento – Cantabile – Semplice. A volte vale la pena di osare per rendere un ascolto giustamente impegnativo, in modo da non perdere la particolare qualità espressiva dell’esecuzione che, nel caso di Górecki, avrebbe potuto avere un più efficace effetto catartico e introspettivo.