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A Siena per le ultime tre sonate beethoveniane. Un classico del grande pianista milanese
di Michele Manzotti
I l concerto si è concluso senza i consueti bis. Non perché il pubblico non abbia richiesti, anzi la fine dell’esecuzione di Maurizio Pollini è stata seguita da applausi convinti e prolungati. Ma perché non ce n’è stato bisogno. Il programma presentato dal pianista nella sua esibizione al Teatro dei Rinnovati di Siena per l’Estate Musicale Chigiana era d’altra parte molto particolare e circoscritto a un autore e a un periodo. Tutto dedicato a Ludwig Van Beethoven, a quella produzione tarda che aveva portato il compositore di Bonn verso territori ancora inesplorati alla ricerca di nuove soluzioni sonore e concettuali. Composizioni che erano molto più avanti dell’epoca in cui vennero scritte tanto che per ritrovare alcune delle scelte stilistiche di questi lavori bisognerà attendere molti anni, fino al Novecento.
In programma dunque le ultime tre sonate composte da Beethoven, segnate con i numeri d’opera 109, 110 e 111, tra il 1819 e il 1822. Lavori dove ancor più la forma della sonata classica allegro-adagio-allegro, già nelle sonate pianistiche precedenti rimessa in discussione, viene qui totalmente stravolta da un flusso continuo di cambiamenti di tempo ed un uso articolatissimo dei temi musicali. Inoltre nell’opera 109 e nell’opera 111, le sonate con variazioni, Beethoven mette inconsapevolmente le basi dei linguaggi novecenteschi con l’utilizzo di varie tecniche, tra le quali la frammentazione e deframmentazioni delle figurazioni ritmiche, ora vorticose ora lentissime; la fuga dell’opera 110 ha le sue basi nel grande tradizione di Bach e nell’usuale sperimentazione di quest’ultimo con la tecnica contrappuntistica e la rielaborazione tematica.
Questi elementi dell’ultimo Beethoven Pollini li ha fatti suoi da tempo, sin dalle incisioni per la Deutsche Grammophon risalenti agli anni Settanta. Riconosciuto come una delle massime autorità pianistiche internazionali, Pollini approccia da sempre queste composizioni con grande naturalezza tecnica e interpretativa, sottolineando quei momenti di espressività intimista nei quali palese è anche la ricerca di una nuova concezione sonora. Al tempo stesso il pianista evidenzia ogni tema musicale, sia esso di grandi o piccole dimensioni, esaltandone la funzione narrativa. Un’esibizione e un programma dove virtuosismo e giochi dinamici lasciano spazio a un compito molto più difficile, quello di tenere in mano le redini di una scrittura complessa e affascinante al tempo stesso. Un compito che solo i grandi esecutori come Pollini portano a termine e che lasciano a chi ascolta una sensazione di bellezza difficile da dimenticare.
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La grande testimonianza culturale di Maurizio Pollini, che nella sua lunga, generosa attività ha coniugato sapientemente le opere sperimentali e precorritrici dell’ultimo Beethoven con una costante attenzione alle avanguardie storiche del Novecento.
Oggi, in un contesto cambiato, la sua testimonianza e la sua coerenza sono più che mai vive.