Recensione • In forma di concerto il programma all’insegna del compositore tedesco tenutosi con successo presso il festival di Martina Franca
di Luca Chierici
Che cosa bella svegliarsi al mattino avendo in testa il leitmotiv di Hunding o la melodia affettuosa dell’Ouverture di Rienzi, senza neanche avere acceso una radio nell’ (improbabile) attesa che qualche canale nazionale o locale inviti l’ascoltatore a una quotidiana meditazione wagneriana. No, il ricordo insistente proveniva dalla splendida serata passata nel Palazzo Ducale di Martina Franca con l’Orchestra Internazionale d’Italia plasmata dalle idee e dal gesto di un grande direttore come Fabio Luisi. È un’orchestra che qui abbiamo ascoltato tante volte in passato, a partire dalla fine degli anni ’80, e che valorosamente era stata protagonista di tanti recuperi operistici e di molti altri concerti sinfonici.
Ma che nell’atrio del Palazzo potessimo assistere a una performance di questo livello davvero non ce lo saremmo aspettato: una sorpresa che può essere spiegata solamente nei termini di una maturazione avvenuta anche attraverso un ricambio generazionale e mediante un lavoro entusiasta con Luisi, che si è dimostrato non soltanto il musicista che tutti conosciamo, ma un valoroso coach che ha portato i numerosissimi strumentisti a navigare indenni in un programma che partiva dal Rienzi e attraverso i Vorspiele dell’Hollaender, di Lohengrin, dei Meistersinger approdava al primo atto della Walkiria, momento culminante della serata ed elemento sempre più frequentemente inserito in tutti i più importanti programmi wagneriani in forma di concerto. In uno spettacolo all’aperto, trovare un equilibrio perfetto di piani sonori, far emergere gli incisi cantabili degli archi, ottenere una scansione perfetta degli interventi di ottoni e legni è impresa non da poco, e da Luisi compiuta impeccabilmente al fine di sottolineare i mille particolari dell’orchestrazione wagneriana all’interno di un percorso interpretativo affascinante. Luisi ha evocato nell’ascoltatore corrispondenze insolite, come quelle che legano le note tenute della tromba nell’Ouverture di Rienzi a un ben noto luogo simile nel Te Deum verdiano, quasi a dimostrare che la presunta competizione e divergenza di idee dei due grandi campioni festeggiati quest’anno possa lasciare il posto in realtà a considerazioni relative a molte radici comuni.
Nel terzetto vocale della Walkiria spiccava l’indole davvero notevole del soprano lituano Ausrine Stundyte, voce corposa e timbricamente interessante, di carattere wagneriano più che definito. Accanto a lei vi era il Siegmund autorevole di Ian Storey, indimenticabile Tristano e Siegfried, e lo Hunding di indiscutibile spessore del basso Gianluca Buratto. Un grande successo di pubblico ha salutato al termine orchestra, direttore e cantanti e ci ha portato naturalmente a meditare sulle frequenti esecuzioni wagneriane che stiamo così spesso ascoltando in questo felice periodo. Il fatto di assistere a una sorta di gara, tra direttori del calibro di Luisi, di Thielemann, di Barenboim, di Pappano e tanti altri, tesa ad esempio a portare al massimo livello di esaltazione l’ultima pagina del primo atto di Walkiria è un segno di grande civiltà intellettuale che ci riscatta per qualche attimo dall’oscurità di un momento storico assai difficile.
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