Recensioni • Il tenore dalle grandi qualità e fama internazionale ieri al Teatro alla Scala con un recital di successo, accompagnato al pianoforte da Vincenzo Scalera
di Luca Chierici
JUAN DIEGO FLÓREZ SI È PRESENTATO ALLA SCALA ieri – erano passati due anni dal suo ultimo recital – ricalcando un programma costruito ad hoc in vista di un tour con l’Orquesta Nacional de España e proposto da noi nella versione più “esportabile” che prevedeva l’accompagnamento al pianoforte del magnifico Vincenzo Scalera. Programma ambizioso che rappresentava una prova più che evidente del costante ampliamento del repertorio del tenore peruviano, in linea con una mutazione delle sue caratteristiche vocali. Il tenorino con il timbro squillante e un poco nasale che dieci anni fa faceva impazzire il pubblico con La fille du regiment e «Cessa di più resistere» si sta trasformando in un artista più completo, con una voce corposa, piena, adatta a sostenere i ruoli che gli sono più congeniali con sempre maggiore aderenza stilistica e approfondimento interpretativo. Sostenuto immancabilmente da una professionalità altissima, da un innato senso dello stile e da un atteggiamento costruttivo e antidivistico che ne fanno esemplare piuttosto unico nell’attuale panorama canoro, Flórez sembra oggi contraddire vistosamente tutti coloro che ai tempi non avrebbero scommesso su una sua carriera duratura e in crescita costante. Non si erano fatti evidentemente i conti con una intelligenza di prim’ordine e con una curiosità che ha spinto il tenore a indagare un repertorio tanto arduo sul piano strettamente tecnico quanto meravigliosamente ricco di pagine straordinarie.
Per quanto l’altra sera Flórez abbia correttamente voluto dimostrare le proprie qualità di interprete haendeliano (dove è riuscito persino a rendere i passaggi veloci per gradi congiunti in maniera più precisa di quanto non abbia fatto il pur valente accompagnatore), sul versante delle melodie francesi, nell’immancabile omaggio alla tradizione delle zarzuelas, il suo terreno elettivo rimane quello della vocalità belcantistica italiana e della sua naturale evoluzione nel Grand-Opéra di Meyerbeer. Una vocalità che si è dispiegata attraverso uno spettro multiforme di proposte e che ha trovato momenti di estremo interesse ad esempio nell’abbinamento tra il Meyerbeer “italiano” del Crociato in Egitto e quello completamente trasfigurato degli Huguenots. E ancora abbiamo apprezzato la contrapposizione tra il versante più virtuosistico del repertorio rossiniano (la cabaletta di Almaviva «Al più lieto») e quello raffinatissimo dei Péchés de vieillesse, rappresentati da una delle tante ingegnose versioni del «Mi lagnerò tacendo», vera e propria ossessione metastasiana del compositore pesarese, e dall’ironico “Addio” che il musicista dedicava “in esclusiva” al pubblico delle grandi capitali. Il belcantismo pudìco della Ricordanza di Bellini, la sintesi espressiva della grande scena del donizettiano Devereux, l’omaggio più che dovuto al Verdi di Jerusalem hanno arricchito ulteriormente il programma di una serata che rimarrà sicuramente tra i ricordi più emozionanti del folto pubblico di aficionados che riempiva la sala. All’apice del successo, l’oggi quarantenne Juan Diego si appresta forse a raccogliere del tutto l’eredità dell’indimenticabile Alfredo Kraus, al quale Flórez sembra guardare come ideale modello artistico.
Recital del tenore Juan Diego Flórez | Teatro alla Scala | Vincenzo Scalera, pianoforte | 18 novembre 2013
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