Il direttore e cembalista a Roma con Matthew Truscott al violino barocco e Jonathan Manson alla viola da gamba
di Simone Ciolfi foto © Peer Lindgreen
UN CONCERTO DI TREVOR PINNOCK è spesso un’assicurazione di qualità. La costante è stata confermata ieri sera al Teatro Argentina, grazie al concerto organizzato dall’Accademia Filarmonica Romana per la sua pregevole serie di appuntamenti nel detto teatro. La formazione presentatasi sul palco comprendeva Pinnock al cembalo, Matthew Truscott al violino barocco (strumento di cui è professore presso la Royal Academy of Music di Londra) e Jonathan Manson alla viola da gamba (professore nello stesso istituto). Si tratta di tre ottimi comunicatori: non nel senso verbale del termine, ma in quello della gestione del discorso musicale. Quando si ha a che fare, come in questo caso, con strumenti storici, non si può fare leva sulla ‘potenza’ del suono, tipica degli strumenti di molto successivi a quelli usati per il concerto in questione. Si può far leva solamente sulla capacità dialogica che ogni esecutore deve gestire e costruire con gli altri.
La Sonata di Jean-Marie Leclair, la cui musica è stata tutta, nelle mani degli esecutori, un conversare altamente civile
Con gli strumenti storici il suono viaggia meno e dura meno, ma ciò che si percepisce maggiormente in questa situazione è la loro voce, la loro capacità di non perdere il filo del discorso, sia nell’ambito del singolo ordito, sia nel tessuto comune fra gli strumenti. La melodia e la polifonia strumentale sono dunque importanti, ma lo è altrettanto un’espressione che potremmo definire ‘parlante’ (e meno ‘cantante’) senza la quale, con gli strumenti storici, si rischia di non essere seguiti dall’ascoltatore. I tre esecutori dunque hanno saputo dare alla musica di Bach, di Froberger e di Telemann, quella natura parlante che modula i suoni a cavallo fra canto e dialogo (si badi: quando parliamo moduliamo andamenti melodici, non lo facciamo su una nota sola) che rende tanto affascinante il repertorio strumentale barocco.
La ricercatezza della musica di Jean-Philippe Rameau colpisce sempre: brillante, esotico e festoso, Rameau ci porta in un mondo dove l’eleganza è sì un esoterico mistero, ma è a tutti agevolmente comunicabile. Musica non facile, descrittiva e al contempo eterodossa per ritmi, andamenti melodici e armonie, che Pinnock e il gruppo hanno eseguito col tratto sapiente di chi questo mondo lo abita e lo ha lungamente esperito. Sia detto lo stesso per la Sonata di Jean-Marie Leclair, la cui musica è stata tutta, nelle mani degli esecutori, un conversare altamente civile. L’affluenza di pubblico è stata buona, la soddisfazione tanta. Eppure un concerto del genere meriterebbe che anche i palchetti dell’Argentina fossero pieni. Un invito al pubblico affinché non perda esperienze di vero piacere.