Il duo per la prima volta nella stagione di musica da camera dell’Auditorium Parco della musica con un programma che ha spaziato da Brahms a Campogrande
di Mario Leone foto © Luca d’Agostino
Quando si parla della musica per pianoforte e violoncello balza alla mente un repertorio vasto, di rara bellezza e di grandi interpreti: si sussulta riascoltando Benjamin Britten al pianoforte e Mstislav Rostropovič al violoncello. Ci commoviamo pensando all’angelico volto di Jacqueline Mary du Pré e ci si strugge al suono meraviglioso del suo violoncello. Col Daniel Barenboim pianista e direttore, poi, ci hanno regalato pagine di miracolosa bellezza al di là della loro storia personale. Un’altra coppia nella musica e nella vita, da tempo alla ribalta per maestria e unità di intenti: parliamo di Maurizio Baglini e Silvia Chiesa. Virtuosi ciascuno per il proprio strumento così come in duo.
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Per la prima volta a Roma nella stagione di musica da camera dell’Auditorium Parco della musica i due musicisti si sono cimentati in un repertorio ben impaginato, molto intrigante e dalle ardite cime tecniche. Un programma a tratti “epico”, leggendario, da ballata nordica come il musicologo Claude Rostand definisce la Sonata op. 38 di Johannes Brahms che apre la serata. Non inganni la semplice struttura formale dell’opera né la vena melodica intensa e lirica. L’opera brahmsiana presenta contrasti, lunghi fraseggi tra gli strumenti e scrittura contrappuntistica a tratti esasperata.
Ascoltiamo volentieri 150 decibel di Nicola Campogrande che si riferisce alla potenza fonica sprigionata da una battaglia e che appunto raggiunge quel valore misurale
Baglini e Chiesa rendono anche omaggio a Britten e Rostropovič eseguendo la Sonata op. 65. Se la scrittura brahmsiana tende a valorizzare il cantabile dello strumento ad arco, le capacità timbriche e di impasto con il pianoforte, in Britten abbiamo un violoncello più percussivo e in ogni caso una scrittura tutta generata avendo negli occhi e nelle orecchie il suo destinatario: proprio quel Rostropovič che ne eseguirà la prima (con Britten al pianoforte, ovviamente) e che ne sarà il dedicatario. Il parossismo dinamico, gli eccessi virtuosistici, le fiammate improvvise sono la descrizione più chiara del tratto musicale di Slava. Non è facile entrare in una partitura così caratterizzata e a tratti ostinatamente unilaterale. Così come non è semplice eseguire musica contemporanea. Ma il coraggio al duo non manca. Ascoltiamo volentieri 150 decibel di Nicola Campogrande che si riferisce alla potenza fonica sprigionata da una battaglia e che appunto raggiunge quel valore misurale. Diciamo subito che il brano è di grande difficoltà, scritto bene, ma che occorre riascoltarlo per poter esprimere un giudizio compiuto. Per il momento apprezziamo con gioia il coraggio di proporre nuova musica e farlo con piena consapevolezza e maestrìa.
Chiude la serata la Sonata op. 19 di Sergej Rachmaninoff. Un’opera che però non raggiunge le vette di Brahms e Britten e a tratti troppo sovrabbondante e inequivocabilmente salottiera. C’è il Rachmaninoff del Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra, ma anche il Rachmaninoff pianista. Lo squilibrio della scrittura in favore del pianoforte è molto ben gestita dal duo che riesce, nella rigorosa lettura delle pagine, a creare un pensiero unico, coerente e convincente. Ad impreziosire la serata due fuori programma. Delle brevi introduzioni ai bani fatte da un Baglini in grande forma sia al pianoforte che nell’oratoria e la rottura di una corda del violoncello cambiata da Silvia Chiesa senza accorgersi dell’incidente. Poi meritatissimi applausi, due bis (che portano a quasi due ore di musica suonata) e la certezza di aver incontrato un altro duo con cui commuoversi e gioire.
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