di Attilio Piovano foto © Marco Borggreve
LA ROTTERDAMS PHILHARMONIC – occorre ammetterlo – è una gran bella orchestra, una formazione di lusso dal suono corposo e rotondo (ottimi specie gli archi). La sera dello scorso 31 agosto è approdata al Festival di Stresa: sul podio il canadese Yannick Nézet-Séguin che ne è il Direttore principale dal 2008. Dunque appare del tutto naturale che tra podio e leggii ci sia una buona intesa, un bel feeling. Lo si comprende, più ancora lo si vede, fin dai primi istanti (osservare Nézet-Séguin dalla postazione privilegiata della prima fila è un vero piacere). I musicisti paiono divertirsi davvero con Yannick il quale, per parte sua – gesto esuberante e spiccata comunicativa – dispensa sorrisi a tutti, dirige col brillio degli occhi e più ancora col movimento agile e sinuoso del corpo intero.
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Piacevole sorpresa, in apertura di programma, la rara Ouverture da L’isola disabitata di Haydn, pagina pervasa da una tensione drammatica di matrice smaccatamente Sturm und Drang (è del 1779) al cui interno se ne viene fuori uno smagato Minuetto, come un nostalgico sguardo al passato: rivolto verso un un miltoniano Paradise ormai irrimediabilmente Lost. Minuetto che Nézet-Séguin ha accarezzato con soave grazia, rendendo ancor più efficace le accensioni drammatiche e fiammeggianti dell’Ouverture, assai prossima al Mozart della K 550. Una vera sorpresa per quella parte del pubblico che l’ascoltava per la prima volta.
Poi sono entrati in scena i due fratelli Capuçon, il violinista Renaud ed il violoncellista Gautier e si sono cimentati sul fronte del ‘Doppio’ di Brahms, insomma il Concerto in la minore op. 102 che non è un capolavoro assoluto, si sa, pur tuttavia seduce con l’afflato sinfonico dei molti tratti e la bellezza di alcuni temi (non tutto è ispirato, qua e là ristagna un poco). Molto diversi caratterialmente – esuberante e focoso il violoncellista, neoclassico, compassato e rigoroso il violinista – i due interpreti in realtà suonano con una sintonia di visione ammirevole. Precisione assoluta, massima perfezione, gran tecnica, bel suono e molto appeal, specie nel Vivace conclusivo che attacca senza quasi interruzione di continuità rispetto al soave Andante.
In chiusura di serata del nordico Sibelius la Seconda Sinfonia in re maggiore op. 43. Pagina composta nel 1901, vistosamente influenzata dai climi dell’Italia dove il finlandese ebbe a soggiornare, è opera di innegabile interesse, a partire da quell’esordio ondeggiante e increspato. Non tutto però è oro colato, l’Andante dilaga in maniera francamente pletorica senza commuovere più di tanto, e quello che l’autore verosimilmente intendeva spacciare per pathos appare oggi solamente densità tardo-romantica priva di vera linfa; ma poi, sotto la bacchetta di Nézet-Séguin, il Vivacissimo, affrontato a velocità stratosferica, si ammanta di un colore insolitamente brillante. Il Finale indugia a lungo nelle brume del modo minore e quella lunga, «enfatica e radiosa espansione sonora dell’apoteosi conclusiva» come la definisce giustamente l’estensore delle note di sala, in realtà risulta qualcosa di appiccicato, qualcosa di forzoso, come una serenità imposta a se stessi con la mente. Sicché, ad onta di certi tratti dalla cordiale cantabilità made in Italy, la pagina resta – e ci mancherebbe – irrimediabilmente il prodotto artistico di un nordico, introverso e solipsistico. La Rotterdam Philharmonic l’ha peraltro interpretata in maniera eccellente e Nézet-Séguin ha agito da vero fuoriclasse, illuminandola di tutta la luce possibile. Al termine applausi prolungati e convinti e ancora un bis, assorto e melanconicamente sognante; tant’è che in molti pensavano trattarsi ancora di Sibelius. E invece era il ‘vicino’ geografico Grieg, e dunque la Morte di Åses dal Peer Gynt, pagina rarefatta e delicata con la quale Nézet-Séguin ci ha mandati tutti a nanna, mimando il gesto del sonno ed anche quello della necessità di idratarsi al termine di un’impegnativa serata. E si è trattato di un altro prezioso tassello entro questo festival che già aveva annoverato un singolare successo in occasione del trasversale ed emozionante Mare nostrum predisposto da Savall; emozioni poi anche con la prima assoluta di Oltre la porta di Carlo Boccadoro, su libretto di Cecilia Ligorio, pièce teatrale dal plot davvero impressive, come dicono i britannici; con la fisarmonica di Richard Galliano e il violino di Guido Rimonda nella suggestiva location della Loggia del Cashmere. Laddove il tradizionale cammeo con l’integrale della Sonate e Partite di Bach è stato affidato quest’anno alle mani esperte di James Ehnes, poi due sere dopo l’atteso recital di Christian Zacharias, equamente suddiviso tra Schumann e Chopin. Impossibile in poche righe rendere conto di tanta ricchezza di contenuti.
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