di Luca Chierici foto © Felix Broede / Sony Classical
Preceduto da una fama che derivava dalla sua mancata vittoria al “Čajkovskij” di Mosca del 2015 – anzi al suo piazzamento al quarto posto – e noto a tutti gli appassionati per la già fiorente messe di video presente su youtube, che testimonia di tutte le fasi del concorso e di altre sue apparizioni in concerto, Lucas Debargue è finalmente approdato anche a Milano grazie alle cure delle Serate Musicali, che non si sono lasciate sfuggire l’occasione di presentare in stagione un pianista dalle caratteristiche così insolite. Che il venticinquenne Debargue si collochi una spanna al di sopra di qualsiasi concorrente che naviga attorno alla sua età è un fatto innegabile: qui oltre allo strumentista sopraffino c’è anche un talento artistico di prim’ordine, che ha tuttavia ancora bisogno di un assestamento per i motivi che ora andiamo a considerare.
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In linea del tutto generale Debargue mostra una padronanza del mezzo assoluta, che gli permette innanzitutto di estrarre dei suoni di una qualità che non ascoltavamo da tempo immemorabile, oltretutto da un pianoforte buono ma non di qualità eccelsa. Una pulizia fuori dall’ordinario, con un uso accorto e molto parco del pedale di risonanza si accompagna in Debargue al dominio di gran parte delle difficoltà puramente manuali, più che sufficiente per permettergli di raggiungere i propri ideali interpretativi, cosa che è stata ampiamente dimostrata in Ravel e un poco meno in Liszt, dove le ragioni della forma spesso tendevano a essere sopraffatte da una visione personale, pur intelligente e accattivante. Il programma si è aperto con quattro sonate di Domenico Scarlatti scelte secondo una tradizionale alternanza tra numeri in tempo lento e veloce, cosa che da un pianista insofferente alle regole come Debargue forse non ci saremmo aspettata. Del resto certo Scarlatti ha da sempre solleticato gli estri di artisti controcorrente, da Horowitz a Pogorelich. Insolita è stata la Sonata scelta per rompere il ghiaccio, la pur bella anche se poco nota K. 208 in la maggiore. Stranezze si sono ascoltate nella K. 24, dove Debargue sembra avere interpretato (a meno dell’esistenza di qualche nuova edizione a noi sconosciuta) in maniera del tutto personale alcune sezioni, trasformate in intermezzi in tempo lento, e alcuni arpeggi che diventavano violente strappate di chitarra. La scelta poi della Sonata in re minore K. 141 è stata molto coraggiosa, dato che questa pagina estremamente virtuosistica per le note ribattute e i salti è oramai da decenni appannaggio assoluto della Argerich. Anche in questo caso il giovane pianista non si è affatto piegato ai confronti e ha addirittura sottolineato nuovamente le bellissime peculiarità armoniche di un piccolo capolavoro che la pianista argentina suona oggi forse controvoglia e con un certo atteggiamento di sufficienza per soddisfare alla richiesta unanime di “bis”.
Il programma continuava con quel Gaspard de la nuit che già si conosceva perché ingrediente infallibile delle prove del pianista al Concorso moscovita. E qui le meravigliose qualità timbriche di Debargue sono venute alla luce in maniera impressionante, tanto che dallo Steinway il pianista ha saputo estrarre suoni che, nella stessa pagina, abbiamo ascoltato dal vivo solamente da Michelangeli e da Pogorelich. In Gaspard l’elemento formale non è così evidente, tranne forse che nel secondo movimento, e il pianista francese ha potuto giocare come voleva quello inventivo, con un fraseggio assai personale, illustrando le ragioni ultime del capolavoro raveliano come pochi oggi sono in grado di fare.
Nella Sonata in si minore di Liszt qualche problema è insorto nel momento in cui Debargue ha piegato a volte le ragioni della forma ai contenuti descrittivi che sono comunque ben presenti in questo capolavoro che si regge sulle figure di Faust, Mefistofele e Margherita, e quindi alle proprie scelte interpretative spesso controcorrente. Se e come Debargue possa addentrarsi in altro repertorio più classico, dove il pianista deve per forza fare i conti con elementi strutturali che si fanno essi stessi poesia lo vedremo in seguito, ad un prossimo appuntamento che speriamo venga programmato anche da noi in tempi brevi. I momenti più rischiosi e perigliosi della Sonata sono stati peraltro superati con grande sicurezza e con un una intelligentissima pianificazione del gesto, che riusciva a combinare la precisione del bersaglio con una evidente dose di rischio che rende sempre elettrizzante l’esecuzione di qualsivoglia passaggio strumentale di proverbiale difficoltà. E’ sicuramente piaciuta la scelta da parte di Debargue, secondo una tradizione sposata dal grande Arrau, di considerare l’improvvisa smorzatura dell’ultimo suono del capolavoro lisztiano, senza pedale, come il brusco risveglio da un lungo sogno fatto di tenerezze amorose, esaltazioni supreme, minacce terrificanti. Un bis di Satie e un’improvvisazione jazzistica hanno chiuso una serata di grande successo, non certo premiata dall’affluenza di un grande pubblico, composto per la gran parte anche da giovani che già si erano fatti un’idea dell’importanza dell’evento.
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