di Attilio Piovano foto © Facebook – OsnRai
Festosa inaugurazione di stagione per l’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai venerdì 19 ottobre 2018 (con replica sabato 20): a Torino, presso l’Auditorium Toscanini di piazzetta Rossaro. Sul podio James Conlon, direttore principale dell’OSNRai, e un programma impaginato in modo davvero singolare. Accattivante e affascinante l’abbinamento: Mozart – la Sinfonia in do maggiore n. 34, ovvero la K 338 che si ascolta relativamente di rado ed è un vero peccato – e la superba Prima Sinfonia di Mahler, un tempo detta ‘Il Titano’, epiteto poi espunto da Mahler stesso, ma di fatto rimasto in circolazione fino ai giorni nostri. Conlon ha cesellato con grande cura l’altisonante primo movimento che pare un anticipo della Jupiter, tempi sciolti, bei fraseggi, appropriatezza stilistica e un suono davvero mozartiano. Magnificamente assecondato dalla compagine Rai, Conlon ha saputo poi porre in evidenza le tante deliziose arguzie di cui è costellato questo saporoso Allegro vivace: facendone emergere al meglio il carattere festoso e lo humour, in bilico tra Haydn e il primo Beethoven. Niente eccessive smancerie nel tempo lento, al contrario equilibrata compostezza, molta grazia ed eleganza, nonché una speciale attenzione nel porre in risalto alcune striature di segno già quasi Sturm und drang (anche se è appena un attimo e già scompaiono). Davvero svettante poi il finale che – pur con i dovuti distinguo, fatta salva la differente tonalità – preconizza curiosamente e singolarmente il giro armonico del Cortège nella Petite Suite di Debussy. Ci sono anche alcuni passaggi che ‘suonano’ già quasi rossiniani: sicché all’ascolto si capisce molto bene come il pesarese ai suoi tempi abbia potuto venire etichettato quale ‘tedeschino’, dacché guardava a modelli del Classicismo viennese, a Mozart appunto e così pure al sommo Haydn. Tutto questo è emerso al meglio grazie alla concertazione attenta e ‘pulita’ di Conlon che della luminosa K 338 ha saputo mettere perfettamente a fuoco la ialina trasparenza e il socievole esprit.
Seconda parte di serata dedicata per l’appunto alla Prima di Mahler. In apertura Conlon ha dispensato i suoni con estrema parsimonia, staccando un tempo assai tranquillo ed allentato: sicché la Sinfonia pareva prendere le mosse da un mondo arcano ed iperuranio, quasi provenisse dal caos primordiale. Un inizio estenuato in cui il direttore ha messo vistosamente in evidenza soprattutto il ‘famigerato’ salto di quarta così caratteristico in Mahler e l’emersione dei timbri puri, come isolati nella loro stessa essenza timbrica; ne è emerso un primo movimento molto rarefatto ed intenso e pur imbevuto della giusta, naturalistica freschezza e fragranza (con l’auto-citazione del celebre Lied primaverile); solamente sul finire Conlon ha impresso come una sorta di colpo d’ala e allora ecco gli immancabili clangori a coronare la pagina in un clima di inevitabile apoteosi. Poi lo Scherzo apparso un po’ troppo edulcorato, privo del giusto carattere: lo avremmo voluto a dire il vero alquanto più ‘cattivo’, più aggressivo, più smaccatamente rude e popolaresco, come un Ländler con i contrabbassi decisamente più corposi ed incisivi; è stato un secondo tempo – come dire – fin troppo educato. Di rilievo, tuttavia, la maestria con cui il direttore ha saputo porre in evidenza, nel pur sereno Trio centrale, quelle assonanze, quei ‘modi di dire’ vagamente premonitori del sublime e futuro Adagietto della Quinta Sinfonia, senza beninteso possederne ancora le struggenti maniere.
Meraviglioso è apparso invece il famosissimo terzo tempo, fondato sull’ingegnosa riformulazione a canone del famosissimo Bruder Martin (il nostro Fra’ Martino), onirico e ‘strascicato’, ad onta delle indicazioni dell’autore, circonfuso da un clima opportunamente allucinato grottesco, come da aspettative: Conlon lo ha ‘dilatato’ a dismisura, facendo emergere quella sorta di ideale derivazione da certo Schubert (teoria tanto affascinante quanto azzardata, ancor tutta da verificare e dimostrare), e allora ecco quel ricominciare sempre da capo, quasi riprendendo il bandolo di un pensiero ossessivo, l’abnorme, impressionante dilatazione dunque e la sublime condotta armonica, ma anche quelle improvvise accensioni e certe asprezze acidule che di questo movimento costituiscono la ragione di maggior fascino (un plauso special a Carlo Romano, oboe impeccabile e così pure al primo clarinetto Enrico Maria Baroni).
Da ultimo quella sorta di immane, apocalittico cluster ante litteram col quale si apre il vasto finale: si è abbattuto come una mannaia sul pubblico facendo risuonare l’OSNRai in tutta la sua possanza. Un’orchestra Rai in gran spolvero, in quasi tutte le sue prime parti. Peccato infatti per le troppe e fin troppo vistose défaillances da parte degli ottoni. La lettura di Conlon, pur destando qualche iniziale perplessità, alla fine ha suscitato un vero e proprio tripudio di applausi, a lungo protratti. Una lettura a nostro avviso forse po’ troppo frammentaria, novecentesca ‘alla Boulez’, modernista, aspetto che pure è immanente in tale opera, anziché il lato tardo romantico che ne è componente non meno rilevante. Una lettura volta a mettere in evidenza i timbri puri, a scapito del suono agglutinato che spesso altri direttori pongono invece in essere. Conlon, dirigendo a memoria, ha ottenuto – occorre ammetterlo – un vero successo personale.
Ancora James Conlon giovedì 25 e venerdì 26 ottobre 2018 per il secondo appuntamento di stagione e la verdiana Messa da Requiem: un cast con artisti della levatura di Anna Pirozzi e Marianna Pizzolato. Per un caso assolutamente favorevole della programmazione, a Torino, il giorno successivo, il 27 ottobre, al Regio Pinchas Steinberg dirige un’altra grande pagina legata al tema della morte, e si tratta del sublime Deutsches Requiem di Brahms: imperdibile .