di Attilio Piovano
Felice ritorno di Gianandrea Noseda sul podio di Orchestra e Coro del Regio, in gran spolvero, la sera dello scorso 15 novembre 2021 per un programma raffinato, inconsueto e davvero ben impaginato: percorso da una sua coerenza interna evidente all’ascolto. Il bel concerto era per il cartellone di Regio Metropolitano ed ha avuto luogo al Lingotto, Auditorium ‘Agnelli’, dacché la sala molliniana di piazza Castello, merita ribadirlo, è tuttora oggetto di importanti lavori di adeguamento tecnico del palcoscenico e di rifacimento dell’intera impiantistica: tant’è che la stagione d’opera vera e propria avrà inizio solamente in febbraio (con la ripresa delle scene storiche della prima Bohème ottocentesca).
Noseda, alla guida dell’Orchestra del Regio rivelatasi ancora una volta in ottima forma, ha potuto avvalersi altresì – lo si anticipava poc’anzi – del non meno prestigioso Coro del Regio (istruito dall’esperto Andrea Secchi), producendosi in un programma tanto fascinoso quanto ricercato che ‘puntava’ in prims sul Brahms corale: un aspetto un poco meno noto rispetto alla produzione sinfonica, pianistica e cameristica del musicista di Amburgo, ma a ben guadare, di ancor maggior rilievo. I brani inclusi in programma contano infatti tra i vertici assoluti della matura produzione brahmsiana, per contenuti, espressività e valore stilistico. E si trattava di Nänie op. 82 e più ancora del toccante Canto delle Parche op. 89, pagine entrambe di altissimo livello da porre sullo stesso piano del più noto e sublime Deutsches Requiem. Sarà appena il caso di rammentare al riguardo come Johannes abbia avuto un rapporto privilegiato con la musica corale, in veste di giovane direttore a Detmold, alla guida di una compagine di fanciulle aristocratiche che in lui – giovane e biondo musicista nordico – vedevano un affascinante ‘trascinatore’, oggi si direbbe una sorta di influencer musicale.
Non basta: Noseda aveva inserito poi anche in programma la rarità del Riccardo III op. 11, poema sinfonico del boemo Smetana (rivelatosi, com’era facile prevedere, una sorpresa per molti), coronando la serata con la Settima Sinfonia in re minore op. 70 del ceco Dvořák, che di Brahms – si sa – fu amico ed estimatore: pagina invero meno frequentata rispetto all’onnipresente Nona ‘Dal Nuovo Mondo’ e all’esuberante (superba) Ottava, opera che pure regala non poche emozioni imponendosi per la sua suadente veste melodica e per i suoi ritmi, ovvero per i tratti che di Dvořák sono il vero marchio di fabbrica, non meno che per un suo specifico ‘colore’.
Ma andiamo senz’altro con ordine E dunque il Brahms di Nänie il cui esordio ha la medesima dolcezza estenuata e pacificante del Requiem. Non a caso, dacché il lavoro fu ispirato dalla morte prematura dell’amico pittore Anselm Feuerbach ed è di fatto una tenera, malinconica e consolatoria meditazione sul senso della morte. A prevalere un clima cullante come di berceuse, ma con impennate da ballata nordica. La prossimità espressiva col Requiem è resa evidente anche da determinati profili melodici, da certi protratti pedali del timpano, non meno che da fugati e toccanti sezioni ‘a cappella’ di grande impatto emotivo. Superba la prova fornita dal Coro del Regio, capace di impercettibili pianissimi, ma anche di sfolgoranti sonorità, in grado di ‘entrare’ perfettamente nel ‘clima’ nordico della pagina, ben lontano dai topoi melodrammatici cui il coro di un teatro lirico è, per forza di cose, principalmente orientato. Attenta e scrupolosa la concertazione di Noseda che, dopo il lockdown pare aver meravigliosamente approfondito ancor più l’humanitas, l’intensità e la profondità pensosa che già contrassegnavano le sue interpretazioni.
Analoghe annotazioni possono in gran parte valere per il pur dissimile (a tratti) Canto delle Parche (1882) su testo goethiano (Ifigenia in Tauride), in cui a prevalere, dopo l’opaco incipit – a dispetto del soggetto che pone sul tappeto il contrasto tra beatitudine degli dei e misera condizione umana – ben presto è un’atmosfera da leggenda. Noseda ne poneva in evidenza gli apici dinamici e il gioco delle modulazioni, amalgamando al meglio voci e tessuto sinfonico: facendo emergere – dove occorre – le singole parti, ma senza mai rinunciare alla continuità della pasta sonora, spesso ambrata e densa di pathos, senza mai far venire meno la visione di insieme. Poi, come in certi passi del Requiem, a dominare era la dolcezza di tratti a cappella sui quali l’orchestra s’insinua con maestosa nobiltà ed echi di armonie arcaicizzanti di gabrieliana memoria, sapientemente posti in essere da Noseda, ben assecondato dalla compagine, giù giù sino all’epilogo, dal suggestivo fascino timbrico. Né mancano le striature, le turbolenze, quasi avvisaglie pre-mahleriane, i passaggi più rarefatti, gli interludi, le digressioni e, più ancora, quella tenerezza, quella cordialità profondamente impastata di humanitas che del nordico Brahms, trapiantato in terra viennese, è una vera e propria firma. E quindi l’inaspettato sciogliersi in una sfera di commovente, consolatoria soavità, un che di «pietoso, umano compassionevole», con la densità di ricercate armonie di fronte alle quali è difficile restare indifferenti: specie dinanzi ad una interpretazione come quella fornita da Noseda.
Incastonato tra le due pagine sinfonico-corali di Brahms, ecco il semi-sconosciuto Riccardo III di Smetana dall’esordio misterioso e frammentario; poi i violoncelli prendono l’iniziativa con accenti quasi melodrammatici, a seguire legni ed arpa in un clima che resta arcano e misterioso. Un linguaggio tardo romantico, quello qui adottato da Smetana, con effusioni liriche e impennate quasi pseudo wagneriane a piena orchestra. La materia spesso lievita e si fa agitata, con toni da epos. Sonorità brunite e altisonanti emergono nel marezzare dell’orchestra. Poi una sorta di cavalcata densa di cromatismi come di ondate, a rendere verosimilmente la psicologia del protagonista; infine il poema sinfonico si fa altisonante e trionfante, ma ecco che appelli degli ottoni interrompono il flusso e riportano a un clima di maggior distensione lirica, ancora di natura teatrale, quindi la coda improntata a un tragico ed ineluttabile impeto con innegabili eccessi di enfasi che tuttavia Noseda, ottimamente assecondato dall’orchestra, nel rispetto estremo della partitura, non ha inteso attenuare, puntando sulla fatalistica perorazione che specularmente riprende l’esordio, cupo e striato di pathos. Un capolavoro assoluto? Forse no, ma di certo una pagina di innegabile appeal che ascoltare live può regalare emozioni: beninteso in presenza di un grande direttore che ne sappia ‘leggere’ in filigrana i complessi aspetti, centellinandoli sì, ma senza perdersi in minutaglie descrittive, dunque, come già si diceva per Brahms, mai smarrendo la visione di insieme. Lodevole.
Infine la Settima di Dvořák dall’austero esordio, quasi bruckneriano; poi il lirismo del secondo tema, i toni agresti, i passaggi epici e le zone rarefatte, quasi un cartone preparatorio di Ottava e Nona della quale anticipa frasi e climi armonici: tutti aspetti ben emersi nella lettura di Noseda, una vera lezione di stile. Così dicasi del secondo tempo con quell’attacco come di serenata amabilmente brahmsiana dal colore modale, grazioso e sognante. Poi l’indimenticabile melodia dei corni subito ripresa e rilanciata, e ancora vistose anticipazioni su Ottava e Nona che Noseda pone in luce, facendo reagire riflessivi passaggi cameristici e densità a piena orchestra. Del terzo tempo, imbevuto di echi folklorici slavi, un mix di melodia e ritmo, Noseda coglie al meglio lo spirito, dando perfetta fisionomia ai passi squadrati e, per contro, accarezzando con delicatezza il bucolico trio dai gustosi spostamenti di accento, prima che l’orchestra prenda fuoco, facendosi incandescente.
Grandi raffinatezze poi anche nel Finale, inizialmente incoativo, quasi immerso in un clima di attesa, prima che esplodano luminescenti e virili fanfare alternate a quelle seducenti schegge melodiche che di Dvořák sono la sigla. Noseda evidenzia poi anche le molte assonanze brahmsiane, entro uno sviluppo costellato di sorprese armonico-timbriche, dove a predominare è un clima affocato e la tensione non viene mai meno, sino alla magniloquente coda appena velata da un pizzico di enfasi. Successo personale per Noseda, Orchestra e Coro, al termine di una serata suggellata da applausi scroscianti della quale conserveremo a lungo memoria.