di Attilio Piovano
Un concerto di gran livello, quello tenutosi la sera di martedì 16 novembre 2021, a Torino, per il cartellone di Lingotto musica, presso l’Auditorium ‘Agnelli’ di via Nizza progettato da Renzo Piano. Di serata per intero monograficamente vivaldiana si è trattato, un concerto programmato al clou di una giornata dedicata al Prete Rosso: costituiva infatti il culmine del convegno pomeridiano tenutosi in Sala Londra (alle ore 17,30) con succulente relazioni da parte di noti studiosi del musicista lungamente impegnato presso la veneziana istituzione dell’Ospedale della Pietà.
E dunque interventi di Pier Giuseppe Gillio (storico e appassionato studioso dei settecenteschi ospedali veneziani), di Susan Orlando (responsabile della discografica Vivaldi Edition), ma anche di Cesare Fertonani e del torinese Orlando Perera, autore di una scorrevole monografia dedicata all’autore dei Concerti delle ‘Stagioni’; studiosi che hanno illustrato soprattutto l’iter, davvero avventuroso, dei manoscritti vivaldiani approdati da Venezia alla Biblioteca Nazionale di Torino dove tuttora sono oggetto di interesse da parte di studiosi provenienti da tutto il mondo (Talbot docet). E si sa che il capoluogo subalpino, assieme a Dresda (ed a Venezia, ovviamente) conta tra i maggiori centri (per non dire il più importante)di conservazione per l’appunto del lascito vivaldiano tout court.
E dunque un concerto affidato alle mani sapienti di Ottavio Dantone, cembalista e direttore alla guida dell’Accademia Bizantina, uno tra i più straordinari complessi strumentali dediti alla musica barocca, un ensemble di dodici professionisti di provenienza internazionale, tra i massimi esperti di musica barocca. Vale la spesa di elencarli per intero, tale è la loro bravura di singoli interpreti, e allora. Alessandro Tampieri concertmaster, Maria Grokhotova e Lisa Ferguson violini primi, Ana Liz Ojeda, Mauro Massa, Heriberto Delgado violini secondi, Marco Massera e Alice Bisanti viole, Alessandro Palmeri e Paolo Ballanti violoncelli, Giovanni Valgimigli violone e Tiziano Bagnati liuto. Così pure da rilevare è il perfetto affiatamento. Grazie a Dantone, certo, che dalla tastiera del cembalo – schiena rivolta al pubblico come d’abitudine un tempo, governa il tutto con sicurezza, inanellando abbellimenti ed agréments di gran gusto, ma merito altresì dell’iper cinetico Alessandro Tampieri, idem, anch’egli abilissimo nell’arte del variare in maniera estemporanea con un gusto ed una acribia che hanno eguali in pochissimi altri interpreti al mondo.
In programma una smazzata di ben otto Concerti del Prete Rosso per differenti organici, da uno a quattro violini invariabilemnte estrapolato dalla sublime e celeberrima raccolta detta L’Estro armoncio (e si trattava di RV 549, 578, 519, 356, 522, 565, 265, 580) che, affidati a siffatti specialisti sono apparsi come rivisitati, rigenerati, investiti di nuova luce. Nulla a che vedere con certe esecuzioni cosiddette ‘filologiche,’ spesso emaciate e smunte, improntate a monocromia, al contrario una varietà di colori davvero incredibile, una notevolissima messe di atteggiamenti espressivi, posti in atto di volta in volta, per focalizzare al meglio la Stimmung, il sound specifico di ogni singola pagina. Ascoltando, veniva in mente la celebre (e provocatoria) boutade stravinskjiana secondo la quale Vivaldi avrebbe ‘riscritto’, insomma ‘replicato’ per oltre 500 volte il medesimo Concerto. Ecco, una serata come quella offerta da Accademia Bizantina era la dimostrazione evidente e lampante della varietà di atteggiamenti adottati dal musicista veneziano, pur entro la stabilità per lo più di un unico format, come usa dire oggi: il Concerto tripartito (e le sue varianti, beninteso), con due movimenti estremi a scansione rapida ed uno centrale di andamento lento, meditativo, ora lagunare, ora idillico e via elencando. Eppure quanta varietà, anche formale, oltre che di invenzione melodico-armonica entro tale schema invariabilmente adottato.
Commentare i singoli Concerti in programma richiederebbe spazi che esorbitano da una recensione giornalistica. Bastino pochi accenni. Per dire, quanta bellezza si sprigionava dal Concerto per due violini RV 578, specie quanto a ricchezza e varietà armonica, giù giù sino alla scintillante e scorrevole parte conclusiva, di fatto una vera e propria Giga. E ancora. ammirevoli i fraseggi incisivi, il ritmo squadrato ed i fieri unisoni emersi al meglio nel Concerto per due violini RV 519. Tampieri si è fatto ammirare come impareggiabile concertmaster, certo, e così pure come solista ad esempio nel Concerto RV 356 contrassegnato da un virtuosismo abbacinante, con quel finale brillantissimo affrontato a velocità incredibile, al limite del fuori giri e della tenuta di strada: in mani meno esperte qualche sbandata e qualche derapata sarebbe stata all’ordine del giorno, cosa che con Tampieri e con gli accademici bizantini non avviene certo.
Di grande e spettacolare efficacia i due Concerti per quattro violini eseguiti in apertura e chiusura di serata, vale a dire il Concerto RV 549 ed il Concerto RV 580, non meno emozionante il celeberrimo Largo e spiccato contenuto all’interno del magnifico Concerto RV 565, come noto trascritto da Bach per organo (BWV 596, al cui interno il Largo diventa un vero e proprio Siciliano), un movimento dalla melanconia toccante e tipicamente lagunare che tuttora commuove e, non a caso, ‘regge’ le più dissimili trascrizioni (spesso figura in bis pianistici). Tampieri, Dantone & C. lo hanno affrontato con una virilità ed una compostezza ammirevoli, senza smancerie, ma nel contempo con estrema attenzione a fraseggi, attacchi del suono e quant’altro, insomma un’interpretazione davvero impeccabile della quale non si può non rilevare l’impatto emotivo che ha sortito dinanzi ad un pubblico folto e festante.
Successo pieno e ancora un bis, a riprova della vitalità e della attualità del Prete Rosso, tuttora amatissimo dal pubblico, a dispetto della boutade stravinskijana: un musicista che – se eseguito con gusto, fantasia, creatività ed estro, pur nel rispetto di rigorosi (ma non rigidi) criteri filologici – incide profondamente sull’animo, suscitando emozioni indelebili.