di Attilio Piovano
Grande (e meritato) successo di pubblico, con una vera e propria standing ovation a fine serata per direttore e solisti. Così mercoledì 10 maggio, a Torino, presso il Salone del Conservatorio dall’impareggiabile acustica, in occasione del concerto targato Unione Musicale (serie dispari), protagonista l’Orchestra Leonore guidata da Daniele Giorgi, suo fondatore e direttore musicale, solisti di lusso Vlad Stanculeasa, violino e il fuoriclasse Simone Briatore, viola: affiatatissimi nella mozartiana Sinfonia concertante K 364 che ha inaugurato.
E si è subito compreso che sarebbe stato un gran bel concerto. Pur di recente formazione (2014), l’Orchestra Leonore ha già un cospicuo palmarès e, prossimamente, debutterà alla Elbphilharmonie di Amburgo. Un’orchestra giovane, dunque, costituita di giovani professionisti provenienti da blasonate realtà sinfoniche internazionali (Maggio Musicale, Fenice, Santa Cecilia, orchestre di Lugano, Losanna e Lucerna, Norwegian Chamber Orchestra, LPO, OSNRai, MCO, Concertgebouw, Orquesta de Sevilla, Scala, Bologna e San Carlo, Arena, ORT e via elencando), giovani che suonano con impeccabile precisione e, soprattutto, con un indicibile entusiasmo.
Sicché l’esuberanza del suono, verrebbe da dire del sound, se si trattasse di altri àmbiti musicali, sembra essere il dato caratteriale, quasi l’elemento cromosomico della compagine stessa che ha offerto una lettura davvero accattivante della K 364, singolare ‘experimentum’ – si sa – in cu l’allure smaccatamente sinfonica si trova abbinata ad un impianto concertistico, affidato non ad uno bensì a due solisti, per l’appunto (tale da configurarsi come una sorta di ‘doppio concerto’), un violino e una viola dei quali Wolfgang conosceva a menadito la tecnica (in quanto figlio del violinista e didatta Leopold), tanto da prodursi volentieri, prediligendo la viola quando suonava in quartetto nientemeno che a fianco di Haydn. Interpretazione oltremodo convincente e ‘coinvolgente’, quella guidata da Daniele Giorgi, gesto ampio ed eloquente, mai fine a se stesso, sempre finalizzato al risultato sonoro: a partire dal primo movimento, informato a un ottimistico vitalismo, del quale direttore, solisti ed orchestra hanno restituito per intero la fragranza fin dall’esordio, grandioso e icastico. Quanto ai tratti squisitamente solistici, cadenze compresa, Stanculeasa e Briatore li hanno affrontati con ammirevole souplesse e una naturalezza che ha subito conquistato il pubblico, non a caso ricevendone copiosi ed entusiasti applausi a fine esecuzione. Giorgi, ottimamente assecondato dalla compagine, ha poi cesellato con garbo ed estrema grazia l’Andante centrale ponendone in luce il lirismo e, più ancora, quel suo pathos se non pre romantico, certo già proiettato su una sensiblerie ormai lontana da arcaici modelli tardo barocchi; per poi fiondarsi con energetico entusiasmo nel fastoso, magnetico e giubilante Presto conclusivo, vera sintesi di maniere francesi, della lezione appresa durante il soggiorno a Mannheim e della tradizione salisburghese.
Un’esecuzione di alto livello che ha raccolto vivaci consensi, perfino tra chi riteneva (invero a torto, dato il risultato piacevolissimo) forse un poco eccessivo l’organico posto in essere; ma è così che occorre agire, se si suona con strumenti storici è un conto, laddove si adottino invece strumenti correnti allora perché mai censurarsi (come taluni) e infliggersi sonorità esangui, pseudo settecentesche che di fatto convincono solo a metà? Bene invece aver lasciato correre l’orchestra a briglie sciolte, pur con sorvegliato controllo su ritmi, fraseggi e quant’altro, restituendo alla pagina tutto il suo fascino sinfonico (e solistico nel contempo), pagina da porre, quanto a vitalismo e giubilante festevolezza, sul piano della Haffner o addirittura del finale della K 543.
Al mi bemolle della mozartiana Concertante ha poi fatto seguito la fascinosa bellezza di un’altra, assai celebre e amata composizione, vale a dire la superba ‘Renana’ di Schumann, coniata nella medesima, solenne tonalità. E allora che gioia la scorrevolezza dell’altisonante movimento iniziale, del quale Daniele Giorgi ha posto in rilievo non pochi deliziosi dettagli, senza mai perdere di vista la curva melodica e l’insieme del tutto. Poi ecco il bonario incedere del secondo tempo in cui il Reno non è più un giovane ruscello guizzante poco oltre la fonte, ma è ormai un fiume che scorre placido in pianura: e la musica di Schumann ce lo racconta, con bonomia, plastica evidenza e un pizzico di ironico humour, con quel suo procedere sereno e certi tratti che in ambito pianistico sarebbero da Humoresque. Bene a fuoco il clima per così dire Biedermeier del terzo tempo, un ‘quadretto borghese’ ripieno di quella stessa tenerezza affettuosa che Schumann distilla ad esempio nelle sublimi e pianistiche Kinderszenen. Assai ammirato il tono con cui direttore e orchestra hanno affrontato la severità austera del penultimo tempo (la Renana, si sa, al pari della Pastorale o della Fantastique si articola in maniera ‘anomala’ in ben cinque tempi). Un movimento ispirato alla cerimonia di incardinazione di un vescovo sotto le auguste volte del Duomo di Colonia. E si sente l’eco di ottoni di gabrieliana memoria e, nel contempo, certe assonanze liturgiche, parenti prossime dell’Amen di Dresda ‘citato’ da Wagner nel Parsifal. Profumo di incenso e colore oro brunito: questo traspare fantasiosamente dal movimento. E, se vogliamo, anche un che di vagamente claustrofobico, sicché il finale è come il contraltare del nostro ideale tornare ad uscire all’aperto e contemplare lo scorrere eterno del Reno, il sacro Reno con tutta la sua nazionalistica carica simbolica.
Ed è stata una vera festa sentire l’orchestra procedere con spedita baldanza tra le pieghe di questo esuberante finale che altri direttori affrontano con eccessiva ‘prudenza agogica’, per così dire: laddove Giorgi ha impresso invece (molto opportunamente) un andamento scorrevole, gaio ed estroverso comme il faut. Protratti ed entusiasti gli applausi da parte del colto pubblico dell’UM ai quali il direttore ha volentieri risposto con un celeberrimo bis: ci aspettavamo legittimamente ancora una pagina in mi bemolle, per dire l’ouverture del Flauto Magico o il finale della K 543 (per non parlare dell’Eroica che pure non è pezzo da bis…) e invece, con simpatica arguzia, Giorgi ci ha annunciato un abbassamento di un semitono al re maggiore. Ed ecco fluire le immortali note dell’Ouverture delle Nozze, affrontate a una velocità davvero notevole. Trascinante magnetismo e adrenalina al massimo per un’interpretazione al fulmicotone, ma anche attenta a quei tratti soavi da Serenata, ovvero da musica en plein air, che delle Nozze sono l’ingrediente fondante, a far da preludio a una ‘folle giornata’, come la intesero Wolfgang e Da Ponte, striata di erotismo, humour e satira anti borghese. E pareva di aver dinanzi a noi Conte e Contessa, Cherubino, la mercuriale Susanna & c., il tutto concentrato in pochi minuti. Indimenticabile. Come del resto l’intera serata.