di Attilio Piovano foto © Pasquale Juzzolino
Strepitoso successo per il concerto diretto da Antonio Pappano – penultimo per la stagione di Lingotto Musica, a Torino, la sera di venerdì 18 maggio 2018 – alla guida della Chamber Orchestra of Europe. In apertura la davvero piacevole sorpresa del Concert Românesc di Ligeti, croccante lavoro risalente al 1951: dunque antecedente al viraggio di rotta del geniale compositore ungherese poi orientato ad una scrittura dalla matrice fortemente modernista. Qui siamo in presenza di una pagina tanto accattivante quanto concisa ed essenziale: tutta echi folklorici à la manière di Bartók, benché di fatto smaccatamente rumeni. Ecco allora in apertura un Andantino modaleggiante e assorto, striato di lieve melanconia, poi seguito per contro da un pirotecnico e scatenatissimo Allegro vivace di cui l’ottima compagine della COE ha restituito per intero la fragrante freschezza e l’immediata godibilità. Quindi il misterioso e notturno Adagio dalle vistose assonanze balcaniche, se non addirittura esotiche, e infine il vitalismo sfrenato del Finale impregnato di popolaresca bonomia, vero tour de force per l’orchestra intera, forse il più avanzato sotto il profilo linguistico. Una festa per le orecchie (e per gli occhi), trionfo per la COE (e le sue ottime prime parti a lungo applaudite) orchestra che Pappano dirige con una naturalezza e una souplesse ammirevoli: ottenendo sempre ciò che desidera, grazie al suo gesto tanto nitido quanto amabile.
Seconda parte di serata per intero orientata entro il giardino lussureggiante dell’universo brahmsiano. E allora ecco innanzitutto il Concerto per violino op. 77: interprete di lusso la fuoriclasse Veronika Eberle (in luogo di Lisa Batiashvili inizialmente prevista), classe 1988, una carriera ormai di altissimo profilo, tecnica agguerrita e gran magnetismo. Proprio al Lingotto la Eberle già s’era fatta ammirare nell’effusivo Concerto brahmsiano dall’impervia cadenza in occasione di un concerto della Swedish Radio Symphony Orchestra nell’aprile del 2016: e aveva sedotto l’intera platea, diretta da Harding. Di nuovo si è ripetuta la magia di un’esecuzione impeccabile sul piano tecnico, con magnifici cantabili, un attacco dell’Allegro a dir poco incandescente, flessuosità nel secondo tema, tutto ritmi di danza, delicatissime note filate nel tempo lento, cantabili di indicibile bellezza e molto charme in quelle zone d’ombra, in quei trasalimenti che del Concerto op. 77 costituiscono uno dei motivi di maggior fascino. Ottimamente assecondata dalla COE in forma splendida, affrontava il Rondò conclusivo con un’esuberanza vigorosa ed energetica davvero uniche. Recensendola nel 2016 era accaduto di scrivere: «Vigoria ed appeal, eleganza, raffinatezza, appropriatezza di stile e capacità di ‘tenere’ il pezzo in toto. Che altro di più?». Non si può far altro che confermare con ammirazione il lusinghiero giudizio. Ed è stato un piacere ritrovare anche l’insolito bis che già Veronika Eberle ci aveva proposto due anni innanzi: l’Andante (il solo tema, beninteso e non le variazioni, ovviamente) dalla Sonata in re maggiore per violino solo op. 115 di Prokof’ev, dal melodismo naïf e pieno di candore.
Da ultimo la Serenata in re maggiore op. 11 che è capolavoro assoluto. Ed è sempre un piacere ascoltarla. Pappano le ha riservato un’attenzione specialissima, già fin dal bucolico attacco dell’Allegro: cogliendone appieno l’esprit per lo più carezzevole e l’aristocratica grazia, ma anche ponendone in luce certe gioviali e virili accensioni, soprattutto la serenità di fondo, che nemmeno la sinuosa e cinerea opacità del primo Scherzo mettono in forse (lo spirito della danza ed un certo carattere idillico sono sottesi anche qui, specie nel bonario Trio). Irresistibili sono apparsi il grazioso Minuetto I con quel delicato tema dei clarinetti sostenuti dal bofonchiare del fagotto e il più elegiaco Minuetto II già prossimo a certo Dvořák, così pure il superbo secondo Scherzo con lo svettare cavalleresco del corno. Unico piccolo neo un tempo forse un po’ troppo allentato per l’intenso Adagio dal carattere Biedermeier che ha finito per accentuarne la dilatazione oggettiva. Ma a fugare ogni nube ecco l’ottimismo del Rondò dall’incessante verve ritmica e dai colori smaglianti. Festa grande e applausi scroscianti. Orchestra e direttore sorridenti all’unisono e, da ultimo, bis al fulmicotone col Rossini della Scala di seta, mai parso così perfetto e irresistibile.