di Antonio Chemotti
Blondel de Nesle è uno degli autori più rappresentati nella tradizione manoscritta del repertorio trovierico. Non stupisce dunque che Davide Daolmi, docente di storia della musica medioevale e rinascimentale presso l’Università degli Studi di Milano, abbia deciso di dedicargli il suo ultimo lavoro. Nulla di strano, e il titolo Trovatore amante spia: otto secoli di cronache attorno al celebre favorito che salvò re Riccardo potrebbe semplicemente essere derubricato a ammiccamento editoriale. La sensazione invece di trovarci di fronte a un libro molto particolare si fa pressante non appena posiamo gli occhi sulla prima di copertina: In realtà non così celebre…e neanche tanto favorito…a dirla tutta non si è nemmeno sicuri della sua esistenza.
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Da queste poche righe comprendiamo molto dell’approccio di Daolmi: innanzitutto uno stile ironico e scanzonato, piacevole sorpresa in una monografia dedicata a un repertorio tradizionalmente feudo della falange più rigida dell’accademia, poi una sana propensione al dubbio e alla verifica. Passo dopo passo, vediamo incrinarsi tutte le certezze sull’identità di Blondel de Nesle che capiamo essere una illusione letteraria, una leggenda dimentica di essere tale. L’acume e la proficua pedanteria di Daolmi non risparmiano nemmeno altri grandi miti della musicologia, tra cui la supposta attività poetico-musicale di Riccardo Cuor di Leone.
Già questo risultato sarebbe sufficiente a consigliare la lettura del volume; l’autore non è però pago della pars destruens e dedica molte pagine alla ricezione e rifrazione del mito Blondel, senza disdegnare alcun livello della tradizione. Manoscritti, edizioni critiche, favole, musical, cartoni animati, film ecc. dialogano per ricostruire la complessità di tale tradizione in un modo veramente sgombro da pregiudizi e gerarchie. Lo sguardo si allarga, e Blondel diventa pretesto per affrontare ben più ampie tematiche.
L’obbiettivo dichiarato è quello di «far uscire l’indagine storica dalle secche accademiche», proposito lodevole e ardito. Non è sempre del tutto chiaro a quale lettore si rivolga l’autore, ma ciò deriva forse dalla natura ibrida del volume, sospeso tra ricerca e divulgazione. Ad esempio, lo stile narrativo è spesso coinvolgente, ma alla lunga può stancare un lettore interessato a andare al dunque, a distinguere tra dati essenziali e accessori, tra novità e sinossi manualistiche. Il volume di Daolmi richiede dunque pazienza e fiducia nel suo autore, e non può essere trattato come una cava da cui estrarre solo ciò che ci interessa più direttamente (come si fa con gran parte delle pubblicazioni scientifiche). Ciò costituisce ovviamente un pregio o un difetto a seconda delle inclinazioni del lettore.
Nel complesso, comunque, un esperimento affascinante e in gran parte riuscito, che speriamo sia solo il primo di una lunga serie. Se filologia e musicologia devono comprendere i testi nel loro divenire storico, Trovatore amante spia ne costituisce un esempio luminoso e accessibile.
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