Incontro con il compositore e direttore d’orchestra scozzese che ha diretto ieri l’Orchestra della Toscana al Teatro Verdi di Firenze (stasera al Politeama di Poggibonsi): tra Britten (Suite on English Folk Tunes op.90) e Sibelius (Sinfonia n.3) è stato eseguito il concerto per percussioni dello stesso MacMillan Veni, veni Emmanuel
di Michele Manzotti
Ci può parlare della sua composizione nel programma che ha eseguito con l’Orchestra della Toscana? Soprattutto per la scelta di un unico esecutore di tutte le percussioni.
«È una composizione che ho scritto circa 20 anni fa dedicandola alla percussionista Evelyn Glennie. Tra l’altro è uno dei miei lavori più eseguiti. L’ho scritto perché nella letteratura classica non ci sono molti brani con le percussioni protagoniste nonostante abbiano una grande varietà sonora. Una volta tanto con questo brano questi strumenti non sono relegati in fondo al palco».
C’è molta musica sacra nelle sue composizioni, cosa significa scrivere brani di ispirazione religiosa nel 21° secolo?
«Perchè è una prassi che non è stata mai abbandonata. Pensi agli ultimi cento anni: posso ricordarle Stravinskij, Schönberg che dopo l’olocausto ha recuperato la sua spiritualità ebraica, Šostakovič e altri russi. Anche un autore minimalista e sperimentale come Arvo Pärt ha composto molta musica sacra, quindi non è un fatto raro».
Veniamo alla musica strumentale: recentemente alla Queen Elizabeth Hall di Londra è stato eseguito in prima assoluta un suo concerto per oboe e orchestra che ha una sonorità molto spettacolare. Una sorta di evoluzione del linguaggio di Stravinskij…
«È vero, mi sento molto vicino alla musica dei compositori russi. Non sono Stravinskij, ma anche Šostakovič e Prokof’ev. Ovviamente c’è poi la ricerca del linguaggio personale».
Il suo catalogo è molto vasto e comprende opere, musica vocale e strumentale. C’è un settore che predilige e soprattutto cosa determina la sua scelta di scrivere per uno genere specifico?
«A me è sempre piaciuto affrontare tutti i tipi di sonorità e linguaggio per passione personale. Fortunatamente tutto questo scaturisce in modo molto naturale. Mi piace comunque esprimermi particolarmente con la musica corale che è la parte più consistente della mia produzione».
Lei è scozzese e le faccio due domande in merito. Innanzitutto la musica tradizionale della sua terra è una fonte di isiprazione per lei? E dato che è un argomento molto dibattuto, cosa pensa del referendum per l’indipendenza da Londra annunciato recentemente?
«Sono molto legato alla mia terra e la musica tradizionale fa parte dei miei ascolti e anche della mia formazione musicale. L’ispirazione c’è stata e c’è tuttora. Detto questo, e vengo alla parte politica, mi trovo spesso a discutere anche con molti amici sul referendum. Non credo che sia utile per la Scozia staccarsi dal Regno Unito».
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