Intervista al regista veronese alla sua prima esperienza con l’opera verdiana in scena dal 7 luglio
di Michele Manzotti
È di Verona, e come spettatore l’Aida ce l’ha nel sangue. Eppure come regista la affronta per la prima volta. Mariano Furlani sta lavorando all’allestimento dell’opera di Verdi che sarà in scena per la rassegna di OperaFestival nell’abbazia storica di San Galgano, nel comune di Chiusdino (Siena). L’appuntamento è per il prossimo 7 luglio (repliche 3 e 4 agosto, più rappresentazioni a San Gimignano il 27 luglio e a La Spezia l’1 agosto, info: www.festivalopera.it).
Dal teatro a uno spazio unico al mondo, qual è l’approccio?
«Bisogna affrontare San Galgano con grande rispetto. Ma appena entrati nel modo giusto in questa atmosfera si capisce di avere a che fare con un luogo di prim’ordine per quanto riguarda lo spettacolo, grazie non solo alla bellezza ma anche alla sua acustica. Diventa più semplice lavorare ad un allestimento nonostante l’impegno che richiede in ogni caso. Penso ai cantanti possono approfondire il proprio ruolo più che essere vincolati al risultato sonoro».
Ci sono due facce di quest’opera, una più spettacolare, l’altra più psicologica…
«Questo è stato reso possibile renderlo al meglio proprio grazie al luogo che ci ospita. Con lo scenografo Giacomo Andrico ci siamo messi a studiare con estrema attenzione tutti gli aspetti della messa in scena. Così abbiamo realizzato un sistema di pareti mobili che potesse evidenziare sia gli aspetti differenti di Aida, sia consentire al meglio il flusso musicale costante tipico dell’opera e dell’ultimo Verdi ».
Come sarà la lettura scenica?
«Non posso pensare a San Galgano come all’Arena di Verona, dove è possibile portare anche gli elefanti se un regista volesse farlo. Inoltre in un edificio cistercense non si può fare un’Aida egizia. Allora ho lavorato molto sui colori: blu, lapislazulo, bronzo. Inoltre l’unico momento senza le pareti mobili sarà il finale, quando Aida e Radames sono chiusi nella tomba, proprio per dare una lettura diversa di quella scena».
E il lavoro sui personaggi?
«Il contrasto tra le due donne è centrale nella vicenda. Ho voluto leggere la figura di Amneris come quella di una giovane viziata che matura soltanto nella consapevolezza del dolore. Mentre Aida è una vittima predestinata, è manipolata da tutti, dal padre come dall’amato. In questo allestimento a lei nessuno rivolge lo sguardo. Radames è invece un giovane guerriero, che però grazie all’onore troverà anch’egli la propria maturazione personale che lo porterà alla morte».
I musicisti come rispondono alle esigenze dovute allo spazio?
«Il lavoro con loro è straordinario, a partire da quello con il direttore d’orchestra Matteo Beltrami per continuare con i cantanti. Sono tutti professionisti di eccellente livello, ma consiglio di ascoltare il Radames di Yusif Eyvazov, che debutta nel ruolo e che ha grandi doti vocali».
Quale versione di Aida ha nel suo cuore da un punto di vista sonoro o visivo?
«Quella con la Callas e il terzo atto, veramente straordinario, dell’edizione diretta da Herbert von Karajan. Mentre di allestimenti ne ricordo uno a Verona mai più ripreso con le scene di Piero Zuffi che davano un tocco di modernità all’opera».
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