
L’INTERVISTA
Il contralto, alla Fenice per un recital dedicato a Monteverdi e Mahler, risponde alle domande del Corriere Musicale
di Elena Filini
B ella e olimpica, una Minerva in plissé rosso, Sara Mingardo incede sicura sul palco del Teatro la Fenice di Venezia per un omaggio alla carriera nel cartellone del prefestival del teatro veneziano, lunedì 23 luglio. Un recital nel segno di Monteverdi e Mahler, la sensiblerie del pensiero musicale barocco e i turbati affetti del sinfonismo fine ottocento. Sicuro, mai altero, il contralto veneziano sa di avere in gola un oro antico, di suscitare le memorie di ermafroditi armonici, di effetti sonori non più udibili, di concentrare nella carne e nello spirito la seduzione di voci irrimediabilmente perdute. Per descrivere la sensuale meraviglia di questa proteità vocale valgano soprattutto le motivazioni al Premio Abbiati 2009, conferito per la sua Messaggera nell’ Orfeo scaligero sotto la direzione di Claudio Abbado: “Voce di autentico contralto, dotata di musicalità, eleganza e proprietà stilistica tali da farla emergere sia nell’opera barocca per la nobile linea del legato e il fraseggio ricco di febbrile trepidazione, si anell’ambito della musica sacra, per l’intima commozione donata alle prove pergolesiane sotto la direzione di Claudio Abbado”.

«Per la Fenice, teatro che amo e nel quale mi sento di casa per aver iniziato al mia carriera come artista del coro – spiega il contralto – ho scelto un programma che mi rappresenta: ho fatto la musica che amo, il barocco e la liederistica. Non sono una buona rappresentante del teatro lirico italiano, credo ci sia anche tanta bellissima musica che si conosce meno e in questo ho trovato una mia identità. Anche grazie agli strumentisti presenti, cari ex compagtni di Conservatorio che sono saliti sul palco della Fenice per farmi un regalo, abbiamo potuto immaginare un recital di nostro gusto, mettendo il piacere massimo di fare la nostra musica favorita».
Il suo marchio di identificazione è un timbro raro e sontuoso, avvolgente, da autentico contralto ma che nulla ha di intubato o metallico. Quali sono stati i suoi riferimenti vocali?
«Ho sempre cercato di curare il mio colore, di rendero personale, come ha giustamente affermato – identitario. Tuttavia sono altrettanto convinta che l’imitazione non serva, e peggio che per ricercare un colore che ci piace ma magari non ci appartiene sia facilissimo mettere il piede in fallo sotto il profilo tecnico. Tuttavia un mio modello ce l’ho: è Lucia Valentini Terrani. Una personalità musicale magnetica. È anche vero che poi si ruba con intellligenza da tutti, nel mio caso soprattutto da Jessie Norman, Christa Ludwig e Marilyn Horne».
Senza dubbio possiamo definirla il più celebre contralto italiano. Confrontando la sua emissione con alcune grandi cantanti del passato notiamo però come lei tenda ad evitare il più possibile il fenomeno (per alcuni anche suadente e teatralmente stimolante) della doppia voce.
«La ricerca di un’omogeneità timbrica tra prima e seconda ottava della voce è sempre stata una priorità che mi ha dettato il mio gusto personale. Storicamente, aggiungo, la tendenza estetica è andata nella direzione di una sempre maggiore fluidità, per cui oggi è meno frequente ascoltare cantanti del mio registro cantare con due voci; certo, il rischio c’è perchè se la ricerca dell’equilibrio nell’emissione è ciò verso cui un contralto professionista a mio giudizio deve tendere è vero che naturalmente siamo portate ad un emissione più maschile nelle note più gravi e ad un’inevitabile sbiancatura in acuto».
Soprattutto in alcuni repertori oggi la vague è quella di prefervi sempre più spesso voci maschili: contraltisti, controtenori ed haute-contre.
«Ci sono interpreti interessantissimi e di grande talento soprattutto versati nel repertorio sacro. Tuttavia personalmente non amo in particolar modo questo tipo di soluzione timbrica. Se anche è suggestivo dal punto di vista antiquario ricercare la voce degli evirati cantori, dobbiamo con sincerità affermare che davvero non sappiamo come cantassero, che la loro estetica vocale ci è sconosciuta sotto il profilo acustico. Se posso sottolineare un particolare che invece mi disturba proprio nel modo in cui certi contraltisti avvicinano il repertorio barocco è l’idea di dover produrre mitragliate di note con un metronomo sempre più rapido. Questa ginnastica secondo me non emozionerà mai quanto la serena commozione di un largo händeliano».
E tuttavia lei afferma costantemente che tra i migliori ruoli scritti per la sua voce ci siano quelli che Händel indirizzava al Senesino.
«Certo, quelli per Francesco Bernardi sono i ruoli che ho cantato con maggior agio. L’idea che mi sono fatta su questa voce è che avesse molte caratteristiche in comune con me: la ricerca di situazioni drammatiche mai troppo esposte, la tessitura e una predisposizione innata verso la cantabilità».
Questo recital rivela, oltre alla giustamente celebrata Mingardo barocca, un temperamento di liederista di profonda passionalità. Le propongono concerti cameristici e produzioni sinfoniche?
«Beh un’italiana che fa Mahler non è che si imponga così facilmente. Tuttavia, sia quando ho iniziato a fare il barocco trent’anni fa, sia negli ultimi anni con il sinfonismo, alla fine la perseveranza nelle scelte trova estimatori. A Roma, Santa Cecilia ha fatto la Terza e l’Ottava di Mahler. E poi a Londra, in Austria e in Germania».
Dallo scorso anno il Conservatorio di Santa Cecilia le ha offerto una cattedra stabile di canto barocco. Esperienza interessante?
«Di buono c’è la molta curiosità e l”intelligenza profonda che muove giovani leve di cantanti verso questo repertorio. La difficoltà in cui incappo spesso è però quella di far capire che il barocco è uno stile. E se dal punto di vista espressivo diverge dal canto lirico, sotto il profilo vocale deve soggiacere alle stesse regole. Purtroppo c’è ancora l’idea di un repertorio rifugio, magari per voci meno dotate. E invece nel barocco la voce serve, eccome».
Un sorriso ampio, terso, due numeri di Faurè (Chanson d’amour e Nocturne) e Sara Mingardo si congeda dal pubblico della Fenice. Per questo galà, che aveva il sapore intimo di una festa in famiglia, il contralto ha nobilmente voluto a cotè due promettenti allieve, il soprano Sivlia Frigato ed il temperamentoso mezzosoprano Loriana Castellano, e gli amici di sempre: uno straordinario Stefano Gibellato, prima al cembalo poi al pianoforte e il consort barocco formato da Giorgio Fava, Pucci Baldan, Ivano Zanenghi e Giovanni Galligioni.
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