Memorie • «Vivace, curioso, simpatico, aveva una grande comunicativa». Il ricordo del compositore recentemente scomparso nelle parole del pianista italiano che lo conobbe e frequentò
di Massimiliano Damerini
CONOBBI ELLIOTT CARTER DURANTE UN CONCERTO del Festival Pontino, all’Abbazia di Fossanova, esattamente il 16 giugno 1983. Mi fu presentato da un altro decano della storia della musica, Goffredo Petrassi, che come si sa era suo grande amico. In quella occasione il Festival dedicò una serata ai due grandi compositori, ed io eseguii con il violinista Georg Mönch il Duo per violino e pianoforte di Carter, che fu entusiasta della nostra esecuzione e volle conoscerci più da vicino.
Ma il mio ricordo più vivo e più affettuoso si riferisce a una mia visita a New York all’inizio degli anni Novanta, durante la quale avevo preso contatti con organizzazioni musicali e musicisti americani per una successiva tournée. Telefonai a casa al Maestro, semplicemente per il piacere di salutarlo a voce e di dirgli che ero in città. Non mi sarei mai aspettato lontanamente di essere invitato a pranzo da lui nel suo club esclusivo. Fu in questo luogo incredibile (si pranzò all’interno di una biblioteca), che passai uno dei più bei pomeriggi della mia vita. Quando Carter si accorse del mio imbarazzo a sostenere una conversazione importante in inglese (che parlo in maniera decorosa, ma non scioltissima), mi mise immediatamente a mio agio rivolgendosi a me in perfetto francese, che ovviamente conosceva dai tempi dei suoi studi con Nadia Boulanger. Abbiamo parlato di tantissimi argomenti, spaziando dalle arti, letteratura e pittura in testa, ai compositori italiani attivi all’epoca, dei quali mi chiedeva notizie e particolarità. Era una persona estremamente vivace e curiosa, di rara simpatia e comunicativa. Era straordinario sentirlo parlare di un secolo di cultura americana. Da casa sua al Village i nomi importanti della storia delle arti e della musica erano passati proprio tutti. Già allora mi fece effetto sentirlo parlare con malinconia dei colleghi scomparsi: non avrebbe certamente immaginato di vivere ancora così a lungo, e soprattutto in maniera così attiva, come lo si conosceva da sempre.
Quando ci si rivide, poco tempo dopo, per il Festival della musica contemporanea italiana, sempre a New York, ricordammo molto di quella stupenda giornata. Mi ascoltò finalmente suonare in recital, si complimentò a lungo, e qualche giorno dopo trovai il coraggio per chiamarlo e per chiedergli se avesse voglia di scrivere una frase su di me da citare nella mia biografia. Fu nuovamente stupendo. Non solo non rifiutò, ma il giorno dopo mi telefonò in hotel (i cellulari erano agli albori) dicendomi che aveva lasciato per me una busta nella hall. Vi trovai parole bellissime, da allora presenti nel mio curriculum.
Negli anni successivi ci scrivemmo e ci telefonammo spesso, qualche volta anche solo per gli auguri di Natale. Nel settembre 1999 mi trovavo nuovamente a New York durante una tournée assieme alla mia famiglia (dirò tra parentesi che, per una coincidenza incredibile, proprio l’11 settembre di due anni prima della tragedia, eravamo tutti quanti sulle torri gemelle…) Chiamai il Maestro appena arrivato in hotel, con la speranza di poter trascorrere qualche ora con lui insieme a mia moglie e ai miei figli. Fu contentissimo di sentirmi ma mi disse che non era possibile incontrarci, in quanto il giorno dopo sarebbe partito per Berlino (era già novantenne!) per l’occasione di una sua prima esecuzione.
Tra i suoi brani che ho suonato più volte ricordo con estremo piacere un’esecuzione del Doppio Concerto per clavicembalo, pianoforte e due orchestre da camera, a Settembre Musica di Torino per la RAI nel 1989, e una di Night Fantasies, forse il suo capolavoro per pianoforte solo, alla Scala nel 1997.
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