
Giunge alla venticinquesima edizione il festival giapponese dedicato alla classica e contemporanea con la direzione di Toshio Hosokawa. Tra gli italiani presenti i compositori Federico Gardella e Clara Ianotta, il flautista Mario Caroli
di Luciana Galliano
SI È SVOLTA QUEST’ANNO venticinquesima edizione del Festival di Musica di Takefu, da dieci anni sotto la direzione del compositore Toshio Hosokawa. Dopo l’avventura di Akiyoshidai – dove Hosokawa diresse dal 1989 al 1998 l’International Contemporary Music Seminar and Festival, un festival di vaste proporzioni per cui l’amministrazione pubblica fece costruire su progetto di Arata Isozaki un International Art Village con Auditorium in cui eseguire Prometeo di Luigi Nono – il Festival di Takefu ha dimensioni più limitate, e nell’accordo con la Municipalità Hosokawa deve curare anche esecuzioni di musica classica per circa un 50% del programma – che si svolge in due o tre concerti al giorno nell’arco di una settimana. La programmazione è totalmente a cura di Hosokawa come pure la scelta degli interpreti e dei giovani compositori da presentare allo scelto pubblico: musicologi e appassionati vengono anche da Tokyo, che è a più di tre ore di treno (veloce), mentre il pubblico locale frequenta quasi solo i concerti “classici” tranne i giovani: una buona percentuale di giovani di Takefu segue attivamente e con entusiasmo i lavori, molti partecipano come volontari e sono contenti di un’aria nuova nella loro città. Che è una delle più tranquille – come dice David James dell’Hilliard Ensemble: in tutto il Giappone le stazioni, le strade sono piene di gente, meno che a Takefu. La cittadina, oltre ad una inconsueta tranquillità, riserva soprattutto agli stranieri l’incanto di un Giappone passato, con le case di legno, i templi frequentati non solo da turisti, la cura gentile per i dettagli.
Quest’anno la programmazione classica verteva sulla Francia, la musica francese del secolo scorso soprattutto cameristica, anche accostata a quella di Toru Takemitsu, il grande compositore scomparso quasi vent’anni fa. Cuore del progetto è l’International Composition Workshop, in cui una scelta di compositori affermati – quest’anno, oltre allo stesso Hosokawa, Misato Mochizuki, Isabel Mundry e Hiroyuki Itoh – lavorano con giovani compositori invitati – fra cui un paio di italiani, Federico Gardella e Clara Ianotta – insieme ad una vasta classe di studenti che diligentemente ascoltano. Accanto a questo, una International Summer Academy istruisce gli esecutori e in tale àmbito Mario Caroli – molto amato e invitato in Giappone – ha tenuto un corso di flauto.

Poiché non di tutto si può parlare, riferiremo di alcuni concerti e brani che hanno avuto più eco e mi sono sembrati interessanti. In tutti il livello delle esecuzioni, affidate alla cura e intelligenza di musicisti giapponesi relativamente giovani, è stato altissimo; nel concerto “Toshio Hosokawa and his friends” (un must!) la violista Tomoko Akasaka ha eseguito, insieme alla percussionista Kasai, Naturale di Berio con un’intensità particolare e un timing perfetto con il nastro delle registrazioni di melodie siciliane. Il pubblico ha applaudito con entusiasmo, ma più entusiasmo – e la cosa è forse comprensibile per un’innata maggior vicinanza al tipo di fraseggio – ha riservato a due brani giapponesi, un brano molto eseguito anche in Europa, Intermezzi per pianoforte e flauto di Misato Mochizuki (ed erano Ken’ichi Nakagawa e Mario Caroli) e Tsurenaki Hito per voce, flauto dolce basso e quartetto d’archi di Hosokawa (Maki Ota, Toshiya Suzuki e il quartetto di Yasutaka Hemmei, tutti eccezionali). Il brano di Mochizuki è impressionante, davvero speciale nell’uso di diverse sonorità al flauto; sembrerebbe una cosa comune nei brani per flauto contemporanei ma l’atmosfera di intima intensità e l’incalzante procedere ritmico concorrono all’unicità di questo brano, particolarmente nelle corde del bravissimo Caroli. Il brano di Hosokawa – il titolo significa “l’indifferente, l’insensibile” – usa come testo un breve componimento dalla raccolta poetica classica Kokinshu; è la prima relativamente indipendente dall’influsso cinese, e epitomizza il percorso attuale di Hosokawa, nell’idea che i musicisti giapponesi si rendano autonomi dagli influssi occidentali. Il brano è molto bello, compreso quel che di vaticinante che c’è nell’ultima produzione di Hosokawa, in quel rarefarsi progressivo, spogliarsi del materiale affinché ciò che rimane acquisti una rilevanza impressiva, che è un tratto tipico dell’arte giapponese e non è un effetto facile da raggiungere. La voce di Maki Ota – ricca, vibrante, perfettamente aderente alla partitura – e la precisione degli altri interpreti hanno espresso tutta la magìa della scrittura di Hosokawa; il brano ha una dinamica complessa, affidando un ruolo femminile al flauto e il ruolo maschile alla voce di soprano, con un fondo strumentale raffinatissimo, come di co-protagonisti. Il pubblico ha chiamato il compositore diverse volte.
Due concerti particolarmente interessanti sono stati i “New Horizons Concert 1 + 2”, con l’esecuzione di brani – tutti in prima esecuzione assoluta – dei giovani compositori invitati. Diremo soltanto dei brani dei due italiani, e di un giapponese particolarmente interessante.
Clara Ianotta è una compositrice che ha molto successo all’estero, vive adesso a Boston e il brano che è stato eseguito, The people here go mad. They blame the wind per pianoforte, clarinetto, violoncello e carillon, ha avuto al sua prima esecuzione al Festival di Witten. I carillon erano in una macchina progettata dalla stessa compositrice, che permette di azionare i carillon con un solo pulsante, anche diversi simultaneamente – ed era la stessa Ianotta sul palco ad eseguire la parte. Si tratta di un brano davvero speciale, vagamente descrittivo e intimamente poetico, che ha lasciato il pubblico un po’ perplesso soprattutto per l’esilità forse voluta del suono. Il brano Voice of Wind di Federico Gardella, compositore noto ed eseguito anche in Italia, scritto per flauto e voce, si basa su un testo di Motokiyo Zeami, il grande drammaturgo quattrocentesco del teatro Nō. Gardella ha composto una densissima parte per flauto in modo frigio, e definito anche precisamente la linea del canto che viene affidato ad una cantante del noh: il compositore Gardella fa ciò che molti compositori giapponesi, primo fra tutti Takemitsu, hanno sempre fatto, e cioè affidarsi alla bravura, perizia e specificità di interpreti tradizionali e la brava Ryoko Aoki ha realizzato la parte con estrema personalità. Il brano, riuscitissimo nell’interpretazione Caroli/Aoki, è stato molto applaudito.
Ricordiamo ancora il brano di Kenji Sakai, Osmosis II per 5 musicisti, un pezzo di intrigante complessità e nello stesso tempo evidente e plastico. Pieno di echi sapienti e però mai pedanti, direi anzi addirittura commoventi. E poi l’Hilliard, alla sua ultima tournée giapponese prima dello scioglimento in dicembre a Londra, e Scelsi.
Nella piccola cittadina di Takefu, la familiarità che si condivide con i musicisti e i compositori è un dono in più a quello grandissimo di ascoltare bella musica perfettamente eseguita, e la autentica sollecitudine dello staff ha contribuito alla sensazione che la musica sia soprattutto la calda condivisione di un’esperienza importante.