Le suggestive interpretazioni dell’ensemble Neue Vocalsolisten; il quartetto polacco Kwartludium ha proposto composizioni di Arne Sanders, Sławomir Wojciechowski, Wojciech Ziemowit Zych, Dariusz Przybylski, Aleksandra Gryka
di Monika Prusak
ESISTONO POCHI ENSEMBLE VOCALI che usano le voci con la disinvoltura e sicurezza dei Neue Vocalsolisten. La performance che hanno proposto al Festival Nuove Musiche, organizzato dal Teatro Massimo in collaborazione con il Conservatorio di Musica “Vincenzo Bellini” e l’Università di Palermo, li ha visti impegnati in diversi organici, dal duo al quartetto e al quintetto, in un repertorio che spaziava dagli anni Settanta del XX secolo alla prima decade del XXI secolo. L’alibi della parola (1994) di Salvatore Sciarrino ha aperto questa ricchezza di timbri ed espressioni vocali incontenibili, dalla pulsazione dei respiri al suono e alla declamazione. L’organico di quattro voci maschili accentua la virilità dell’aspetto sonoro che si esprime con la stessa forza nei quattro movimenti: nella sorda ispirazione del Pulsar, negli staccato di Quasar, nelle grida arcaiche del Futuro remoto e nel lamento roco dei Vasi parlanti. La dimensione metafisica di Sciarrino è letteralmente stroncata dalla composizione successiva, nicht Ichts – nicht Nichts (2010-2011) per quattro voci a cappella di Heinz Holliger, un brano complesso e difficile, ricco di sonorità stridenti e conturbanti, che poco comunicano allo spettatore, se non l’approccio eccessivamente tecnico all’arte compositiva. Le voci sembrano cantare diverse composizioni, brevissime e inconciliabili, per cui nonostante la professionalità coscienziosa degli interpreti il risultato rimane poco entusiasmante. L’autore seguente, José María Sánchez-Verdú, ha risollevato l’atmosfera con Scriptura antiqua. Madrigalbuch I (2010-2012) per cinque voci, di cui l’ensemble esegue soltanto tre movimenti, I Eus tu viator, IV Fortuna spondet e V Sola in terris. Segue Cuatro Citas de Juan Goytisolo (1999) di Manuel Hidalgo per soprano e controtenore, una composizione spettacolare e resa scenicamente in maniera eccellente dai due artisti. Le voci si completano e imitano a vicenda rendendo a momenti difficoltosa la distinzione tra i due esecutori. Il testo, in parte declamato, viene affrontato con particolare maestria e convinzione anche nei momenti più bruschi e violenti, senza mai diventare volgare o sconvolgente.
Dopo qualche minuto di pausa l’ensemble ritorna con una composizione che possiamo definire “classica” del repertorio, un must, che vissuto dal vivo rimane a lungo nella memoria dello spettatore. Si tratta di A-Ronne, documentario su una poesia di Edoardo Sanguineti per cinque attori (1974) di Luciano Berio, una composizione musicale, che di musica intesa come melodia ne ha davvero poco, se non per un breve tema orecchiabile e commovente verso la conclusione. Anche in questo caso la geniale resa scenica e la padronanza della partitura hanno fatto in modo che la performance sia stata seguita in totale silenzio dal pubblico. Le parole spezzate, sillabate, balbettate, le grida, si scontrano in A-Ronne con rumori fisiologici e atti amorosi. L’unico rimprovero che si riserva agli interpreti è l’eccessiva vena d’improvvisazione, che ha allontanato l’ascoltatore dal significato più profondo e decadente di questa composizione verso un mero divertimento delle orecchie e degli occhi.

Una singolare sinergia caratterizza i quattro musicisti che da ben dodici anni formano l’ensemble polacco Kwartludium. Sin dalla prima nota non ci sono dubbi sulla loro eccezionale preparazione, unita all’evidente piacere di condividere la performance con il pubblico e all’interno del gruppo. I quattro strumenti, pianoforte, violino, oboe e percussioni, costituiscono un organico dal suono contemporaneo e fresco. Kwartludium si occupa soprattutto di musiche inedite, nella maggior parte dei casi a loro dedicate o da loro commissionate. Al Festival Nuove Musiche l’ensemble ha presentato cinque composizioni di autori contemporanei, del tedesco Arne Sanders (1975) e di quattro giovani polacchi: Sławomir Wojciechowski (1971), Wojciech Ziemowit Zych (1976), Dariusz Przybylski (1984) e Aleksandra Gryka (1977). Le composizioni in programma creano un’immagine accattivante del panorama musicale polacco di oggi in cui le reminiscenze delle tecniche compositive novecentesche si mescolano a nuovi timbri, alle influenze popolari e a una ricerca accurata di una nuova visione dell’insieme che trae spunto dal jazz e dalle musiche extraeuropee.
Dopo lo spaziale Ambeoidal MTOCS di Gryka, che oltre al quartetto prevede l’uso del live electronics, il concerto prosegue in un continuo crescendo, sia dal punto di vista dell’interpretazione, sia da quello della drammaticità del materiale sonoro. Straziante e profonda Stale obecna tęsknota [Una nostalgia sempre presente] di Zych incanta per la morbidezza del pianoforte, ma il palcoscenico è riservato al clarinettista che costruisce sapientemente la sua performance musicale e scenica sin dall’inizio dell’esecuzione. Subito dopo sorprende la vena compositiva di Sanders, che dalla famosa canzone di Grace Jones (Strange I’ve Seen That Face Before) crea attraverso l’analisi schenkeriana una composizione del tutto nuova e irriconoscibile divisa in tre canti contrastanti: Dubuq. Anche in questo caso il clarinetto svolge un ruolo principale soprattutto nel secondo e nel terzo canto, il cui magma sonoro dipinge nostalgia e dolore con adeguata pesantezza. Un’altra visione appare in Rope of Sands di Wojciechowski che attraverso la dissoluzione continua del flusso sonoro trasmette la sensazione del cadere, del rompersi e disgregarsi di oggetti in senso fisico e metaforico. Kwartludium comunica il disagio spezzando sistematicamente il suono e allargando i momenti di silenzio fino a sfociare in un rumore sordo e sussurrato con qualche reminiscenza di ritmo, lontana e inarrivabile. L’ensemble conclude con Medeas Träume di Przybylski, anticipazione della più ampia opera scenica del compositore polacco, basata sull’omonimo dramma della scrittrice tedesca Dea Lohar. Gli strumenti si scatenano in un’interpretazione vitale e suggestiva di questa complessa partitura, che prevede un vasto gruppo di percussioni impiegato ininterrottamente per tutta la durata della composizione. Risultano eccezionali i dialoghi tra le percussioni e il clarinetto e tra il clarinetto e il violino. Ma qualcosa rimane inconcluso, come nella tragica vicenda di Medea: il dolore la divora in un sogno angosciante e violento.