Parlare di musica oggi, tra nuovi e vecchi media. Lo scritto di Federico Capitoni, da domani delle librerie, affronta un argomento vasto e complesso | Anteprima in pdf sul Corriere Musicale
di Simeone Pozzini
«RIAPPROPRIARSI DELL’AUTOREVOLEZZA che fa del critico un irrinunciabile interprete, e non un mero testimone, della scena musicale. Occorrono competenza, sensibilità, capacità comunicativa, indipendenza e profondità di pensiero: tutte virtù che si devono possedere non soltanto per difendere la qualità del lavoro, ma soprattutto per il rispetto dell’artista e del pubblico, che sono esattamente i soggetti grazie ai quali il critico esiste». Una posizione chiara quella di Federico Capitoni, critico musicale (La Repubblica, Il Sole 24 Ore, Amadeus ed altre importanti riviste), autore e conduttore radiofonico, contenuta nel suo nuovo libro intitolato La critica musicale, da domani nelle librerie (Carocci editore). Argomento vasto, spinoso da dipanare e riassumere, dalle molteplici sfaccettature. «Si attraversa, culturalmente e massmediaticamente, un periodo di trasformazione in cui è ovviamente difficile fare previsioni, sebbene lasci presagire che la professione cambierà, ma non si esaurirà», scrive Capitoni.
Un libro sulla critica musicale. Perché, quali tematiche e in che modo vengono affrontate?
«Un primo motivo è che non sono stati pubblicati in Italia titoli su tale argomento, quindi mi è parso utile colmare questo vuoto almeno nella misura in cui questa collana della casa editrice lo consente: ossia con un testo veloce, sintetico e introduttivo che aiuti a farsi un’idea su una disciplina che oggi sembra perdere progressivamente importanza. Questo è il secondo motivo: portare più persone possibile a conoscenza della materia. Il libro non soltanto spiega cos’è e a cosa serve la critica musicale, ma cerca anche di descrivere il problematico scenario attuale e ipotizzare sviluppi futuri. Ho cercato di affrontare i punti fondamentali del tema, cominciando dai fondamenti teorici della critica musicale (se e come si può parlare di musica), passando per una breve ricognizione storica e puntando poi l’attenzione su come la critica viene accolta dai media, vecchi e nuovi».
A proposito dei nuovi media, argomento che interessa da vicino anche Il Corriere Musicale, sembra che il nostro momento storico sia ricco di nuove voci che non trovano spazio sui quotidiani. Come ha ordinato la sua riflessione in merito alla critica sul web e in sintesi quali sono i nuovi scenari che lei ipotizza?

«Le voci non sono più numerose di prima, lo sembrano perché ora – grazie alla Rete – trovano maggior spazio per esprimersi. Chiaramente bisogna sempre renderle affidabili, utilizzando per esempio il dispositivo dell’autorevolezza, magari incorporandole in una testata che per il solo fatto di essere tale certifica le competenze di chi vi scrive (altrimenti vale come un qualsiasi blog). La critica sul web, come è stata condotta fino ad ora, non presenta sostanziali differenze a livello comunicativo con la carta stampata: in linea di massima si scrivono articoli, che semplicemente sono fruibili on-line. Bisognerebbe piuttosto cominciare a usare internet sfruttando e le potenzialità multimediali (audiovisive in particolare) che offre. Per il momento il valore (o disvalore, se incontrollato) aggiunto è la possibilità di interazione (per esempio i commenti e le condivisioni attraverso i social network) con l’utente, che a sua volta diventa critico; questo della “metaopinione” è uno degli aspetti più interessanti della critica “2.0”. Nel mio libro sono ottimista (altri pensano che la critica sia morta), e pur non sapendo fare previsioni, immagino un recupero di terreno della critica sui media attraverso l’integrazione dei media stessi: carta che richiama internet, che a sua volta si collega alla tv e ai social, in un gioco di rimandi che finiranno prima o poi per convergere in un medium unico (il web di per sé è vicino a questo). L’interesse per la musica è sempre lo stesso, sono i critici a dover riacquistare attenzione, riaccendendo un dibattito scaturente dalla convinzione che la musica genera pensiero e il pensiero cultura».
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