Il regista Bepi Morassi lavora principalmente su gesti, movimenti e tic dei personaggi. La direzione musicale è di Giovanni Battista Rigon. Nel cast vocale Paolo Ingrasciotta, Medea De Anna, Giulia Bolcato | Clip video
di Cesare Galla foto Luigi De Frenza
UN GRAZIOSO TEATRO DA TAVOLO viene spostato qua e là dai personaggi, quasi feticcio che rispecchia lo spazio antico dentro al quale si svolge lo spettacolo. E infatti, il fondale in miniatura è l’esatta riproduzione della monumentale “frons scenae” dell’Olimpico di Vicenza, culmine del classicismo palladiano. L’espediente scenico ha quasi l’aria di una “giustificazione”, da parte del regista Bepi Morassi: in effetti, rappresentare una commedia per musica di stampo borghese del primo Ottocento davanti a quell’aulica sfilate di colonne e statue finisce per far diventare ingombrante e superfluo uno spazio che è unico al mondo.
La commedia è Il Signor Bruschino di Rossini, che il festival Settimane Musicali all’Olimpico propone come prima tappa di un percorso che dovrebbe portare all’esecuzione completa delle cinque farse scritte dal pesarese per il veneziano teatro San Moisè fra il 1810 e il 1813. Morassi cerca di risolvere il problema con un rispettoso gioco di rimpattino fra quello che accade sulla scena e la severa fissità di ciò che sulla scena incombe. Lo fa principalmente lavorando sulle luci, che ora fanno sparire completamente il contesto, ora lo valorizzano con misura nei suoi elementi scultuorei e plastici, evitando l’effetto cartolina e provando a dare ai suoi interventi una dimensione comunque collegata alla essenziale drammaturgia disegnata da Rossini.
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Per il resto, distribuiti sul vasto palcoscenico pochi oggetti di stile quasi fumettistico, realizzati (come i costumi) dagli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, il regista lavora principalmente su gesti, movimenti e tic dei personaggi, senza concedere troppo al risaputo o allo scontato. Lo spettacolo decolla un po’ lentamente – del resto zavorrato da un plot alquanto arruffato anche se basato sul riusaputo meccanismo dello scambio di persona – ma prende quota nella parte centrale, ad esempio quando l’Aria di Sofia, «Ah, donate il caro sposo» viene risolta in caricatura dell’opera seria settecentesca e implicitamente del manierismo palladiano, facendo indossare alla protagonista perfino un elmo con pennacchio.
Come per tutte le proposte operistiche del festival, sul podio è salito Giovanni Battista Rigon, che ha confermato di possedere una vena rossiniana di notevole efficacia. Al cospetto di una partitura ancora molto acerba ma non priva di preannunci dell’imminente “esplosione” della grande comicità (L’Italiana in Algeri segue di pochi mesi questa farsa), Rigon sceglie la via di un’accentuazione chiaroscurale basata su parametri compositi: non solo dinamici ma anche di tempo e di espressione. Il risultato è una rilettura nitida e spumeggiante ma anche capace di languide accensioni liriche (si tratta pur semopre di una storia sentimentale), condotta con estrema duttilità come l’incisiva esecuzione della popolare Sinfonia ha subito dimostrato. Domina, su tutto, un’estroversa e sorridente eleganza.
E non mancano le raffinatezze filologiche. Ad esempio, l’Aria di Sofia, normalmente eseguita con l’accompagnamento di un corno inglese obbligato, nelle rappresentazioni dell’Olimpico viene proposta con il fagotto a fare da strumento concertante. Lo si deve al fatto che il manoscritto originale non riporta l’indicazione del corno inglese, e che la parte è scritta in chiave di basso e per uno strumento in Do. Ecco allora la scelta del fagotto, che risulta quanto mai efficace anche in virtù del virtuosismo della prima parte dell’orchestra di Padova e del Veneto, Aligi Voltan.
Programmaticamente destinata a valorizzare giovani cantanti, questa edizione del Signor Bruschino ha visto in bella evidenza il basso buffo Paolo Ingrasciotta, un Gaudenzio di sciolta comunicativa e bel colore vocale, a suo agio nella coloratura di cui Rossini comincia a fare sperimentazione. Bene anche il soprano Medea De Anna (che si è alternata nel ruolo con Giulia Bolcato), voce corposa e ben controllata in ogni zona della tessitura, stile pertinente e convincente nella sua grande Aria. Bruschino padre è Francesco Toso, che punta sul grottesco ma non manca di musicalità, mentre Elvis Fanton nel ruolo dell’amoroso Florville (si è alternato con Francisco Brito) non ha messo in mostra una qualità timbrica tale da farlo andare oltre a una generica predisposizione al caricaturale, che non è l’unica corda del personaggio anzi forse è la meno importante. Bene i comprimari, fr cui citiamo Rui Ma nella parte di Filiberto e Ana Victoria Pits in quello della cameriera Marianna.
Insolitamente proposto sabato scorso in doppia replica (pomeridiana e serale, noi abbiamo seguito la prima) e probabilmente danneggiato dal gran caldo (che ha tenuto lontano più di qualcuno, ma ha reso molto “teatro verità” il tormentone di Bruschino: «Che caldo!») lo spettacolo è stato comunque salutato da un successo vivissimo.
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