di Laura Bigi
Debutto scaligero per Luca Francesconi e il suo ultimo lavoro, Quartett, commissione del teatro milanese al compositore, opera atto unico dal dramma di Heiner Müller, a sua volta da Laclos, Les liaisons dangereuses.
Libretto in inglese dello stesso compositore, forte, diretto, esplicito. La partitura è certamente impegnativa: due orchestre (e coro) dialogano e raccontano, ma l’una non vede l’altra. L’altra è fuori ed è “il fuori”, il mondo, la società che giudica e che scruta morbosamente; o il ricordo, l’inconscio, il pensiero muto che irrompe, si fa sonoro e si mescola al presente sensibile. Un intreccio vertiginoso e travolgente di livelli drammaturgici, che rispetta i repentini scambi di ruoli tra i personaggi e dà voce alle incursioni delle pulsioni più intime, ai pensieri di gelosia, d’inganno e di dubbio; e lo fa anche attraverso l’utilizzo (straniante) di suoni elettronici realizzati in sincrono.
Un breve, intenso viaggio in una intercapedine di seduzione, di possessione e ossessione dei corpi, che si svolge per contrasto in uno spazio claustrofobico, buio e sospeso nel vuoto: un cubo, dentro cui si muovono i due unici protagonisti dell’opera, la Marchesa di Merteuil (una eccellente Allison Cook) e il Visconte di Valmont (Robin Adams). Alle loro spalle un gigantesco schermo come una finestra, da cui non si guarda fuori, ma da cui si può guardare dentro. Geniale l’ideazione registica e la realizzazione scenica di Alex Ollè (La Fura dels Baus) e Alfons Flores, che nel complesso è risultata di forte impatto, in perfetto accordo col racconto musicale, il quale, anche se nella sostanza segue quel linguaggio che il pubblico è abituato ad ascoltare già da qualche tempo nel settore contemporaneo, esprime assai bene la visceralità del testo. Ottima direzione della Mälkki, chiarissima ed essenziale nel gesto. Buon successo di pubblico: applausi, qualche “bravi!” e niente fischi.