
Daniel Harding e Isabelle Faust alla Scala per Progetto Itaca
La musica è anche solidarietà. I teatri e gli artisti lo sanno bene. E, in ordine cronologico, Johannes Brahms, Isabelle Faust, Daniel Harding e la Mahler Chamber Orchestra si sono esibiti alla Scala di Milano, questa scorsa domenica, per Progetto Itaca, associazione di volontariato che si dedica alla sensibilizzazione per la cura delle malattie mentali. Il pupillo di Abbado e la giovane violinista tedesca scelgono un programma tutto Brahms: il Concerto per violino op.77 e la Sinfonia n.2 op.73, per un risultato di sicura coerenza stilistica, oltre che cronologica. Un Brahms magnificamente interpretato. Isabelle Faust è davvero una musicista energica e passionale, artista sensibile e poliedrica interprete di un repertorio che spazia da Mozart a Giacinto Scelsi, Luigi Nono, Thomas Larcher e Michael Jarrel (di cui nel 2009 ha eseguito le composizioni in prima assoluta). Insomma, nonostante la giovane età, dimostra grande esperienza, non senza una dose massiccia di intelligenza critica e di talento, che le consentono di affrontare questo Concerto, tra i più impegnativi del repertorio violinistico, con impeccabile precisione. Concentrazione e gesto sicuro soprattutto nei numerosi, impervi passaggi a corde doppie; il suono è intenso e il vibrato molto energico, per un effetto ricco, autenticamente brahmsiano, viene da pensare. Un poco sommessa la celeberrima cadenza, che sorprendentemente vede la partecipazione dei timpani (!), con piccole escursioni dinamiche che per ovvie ragioni non vanno oltre il piano.
Daniel Harding non ha bisogno di presentazioni, non solo perché siamo abituati a vederlo spesso in Italia alla testa di prestigiose formazioni, ma pure perché il nostro Abbado lo chiamava “il mio piccolo genio” al tempo dell’apprendistato con i Berliner. Da allora il direttore britannico ne ha fatta molta di strada, maturando costantemente. E questa interpretazione ne è una prova. Sembra che molto spirito brahmsiano abbia guidato il gesto e i pensieri di Harding: nessuna enfasi nei ritmi o nelle scelte agogiche (difetto che molti detrattori imputavano al giovane direttore), ma soltanto il vigore, quello del primo tema nel primo movimento del Concerto, la tenerezza nostalgica del secondo tema e dell’intero secondo movimento, il brio del terzo tempo conclusivo, così vivacemente animato da temi popolari. È un peccato che la seconda sinfonia del compositore boemo sia eseguita tanto raramente. Se il carattere insolitamente sereno, i colori bucolici dell’orchestrazione la rendono peculiare rispetto alle due successive, la forma è, come sempre in Brahms, devotamente ossequiosa della tradizione classica. Una “pastorale” che richiede di dar prova di buona sensibilità a chi la interpreta. E non c’è da dubitare che così sia stato per la Mahler e il suo direttore, in grado di far emergere i toni più intimi (quelli dei legni, dei corni, delle viole e dei violoncelli nel primo e nel secondo movimento) come le sonorità spiccatamente brillanti, trionfali del finale.Molto successo e grandi applausi del pubblico entusiasta, che costringe al bis: ancora l’Allegro con spirito conclusivo.
Laura Bigi