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Il direttore belga impegnato con Haydn, Mozart (insieme con il clarinettista Eric Hoeprich) e Beethoven al Bologna Festival
di Andrea Bellini
P ercorso “facile”, si potrebbe osservare, davanti al programma del concerto di lunedì scorso al Teatro Manzoni di Bologna tenuto dall’Orchestra del XVIII Secolo, considerando che a due capolavori notissimi (la Sinfonia n. 7 op. 92 di Beethoven ed il Concerto per clarinetto e orchestra K 622 di Mozart) si è aggiunta la Sinfonia n. 104 di Haydn: tutti cavalli di battaglia di molte orchestre alla ricerca di un immediato riscontro del pubblico. L’uso di strumenti d’epoca potrebbe far pensare all’ascoltatore odierno ad una lettura stinta, con organico ridotto all’osso e suoni striminziti. Ed invece questo gruppo di eccellenti strumentisti – guidati non da Frans Brüggen, assente per motivi di salute, ma dal belga Guy van Waas, direttore stabile de Les Agrémens – ci ha accompagnati in questo scintillante percorso da Haydn a Beethoven e ritorno passando per Mozart. L’ultima delle sinfonie dette “londinesi” è un lavoro che, oltre a un incremento notevole della notorietà, fruttò anche un bel ritorno economico all’ex dipendente di casa Esterházy; è sicuramente il lascito più compiuto del classicismo haydniano, che a tratti richiama lo stesso Beethoven, probabilmente modello per la sua Ottava Sinfonia.
L’Orchestra del XVIII Secolo mette bene in risalto il nitore delle parti, le sincopi, gli sfasamenti ritmici, ma soprattutto evidenzia come anche nella musica di Haydn, all’apparenza serena e aproblematica, si celino contrasti interiori, non certo come in Mozart, ma certamente non ignorabili. La morbidezza dei fiati nel Trio del Minuetto, gli staccati precisi degli archi in particolare nell’Andante, in definitiva un suono limpidissimo ed allo tempo stesso caldo ed avvolgente è sicuramente il grande pregio di questa compagine. L’idea è che anche la particolare disposizione degli strumentisti, diversa dalla consueta (ad esempio i contrabbassi divisi ai due estremi dell’orchestra), sia determinante nella resa fonica, tanto che pare di sentire ogni musicista singolarmente con grande nettezza pur nel pregevole insieme.
Il clarinetto fu da Mozart sempre preferito all’oboe, quest’ultimo mai veramente amato. E in Anton Stadler (amico clarinettista) trovò un degno interprete del suo pensiero artistico. Quando le prime note di Eric Hoeprich ci introducono nel mondo mozartiano, ce lo immaginiamo quasi redivivo Stadler, dedicatario del Concerto K 622. Dopo l’Allegro iniziale, eseguito con precisione ma senza eccellere, nei due tempi successivi Hoeprich – che suona un clarinetto di bassetto, intonato una terza sotto rispetto al classico “cugino” – mostra una tecnica spettacolare (soprattutto nel Rondò conclusivo), per la quale ha meritato certamente il lunghissimo e caloroso applauso finale. L’orchestra d’altro canto è molto accorta a non sopraffare il clarinetto nei momenti di insieme, mentre nelle pause il solista mostra come vi sia una differenza fonica che, abituati come siamo al clarinetto odierno, non si può ignorare.
Folgorante anche la Settima di Beethoven: nella resa dell’Orchestra del XVIII Secolo la musica del grande di Bonn appare viva e pulsante, ripulita di molte delle incrostazioni romantiche. Il suono è gradevole e potente insieme, sgranato senza sembrare anestetizzato: i legni fanno sentire la loro voce anche nei fortissimo dei due tempi veloci; le trombe in re (come da partitura) ed i timpani antichi assicurano un suono “naturale”, mentre l’equilibrio dei volumi negli archi conferma la sensazione che non manchi nulla rispetto ad un’orchestra moderna alla quale il nostro orecchio è abituato. Nel Minuetto forse alcune scelte potrebbero far discutere. Anzitutto il Trio viene staccato alla stessa velocità, mentre Beethoven prescrive (e di solito le orchestre lo fanno) un Assai meno adagio; in compenso i corni naturali ed i clarinetti antichi mettono meglio in evidenza quel clima bucolico che l’autore tanto adorava, dimostrando la sensibilità della compagine e del suo direttore. Alla fine l’Orchestra concede un inaspettato bis, il Minuetto dell’altrettanto celebre Sinfonia n. 101 “L’orologio” di Haydn, dimostrando perfetta dimestichezza con il repertorio del “padre della sinfonia”.
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