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In programma nel concerto romano anche pagine di Ravel e Debussy
di Mario Leone
Maggio ricco di autori francesi quello appena terminato all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Dopo i recital del violinista Uto Ughi dedicati al mondo della musica d’oltralpe è stata la volta di un notevole trittico costituito da Ravel, Debussy (di cui ricorrono quest’anno i 150 anni dalla nascita) e Saint-Saëns.
Per improvvisi problemi di salute sia il direttore Lorin Maazel che il pianista Aldo Ciccolini hanno dovuto dare forfait, sostituiti rispettivamente da Fabien Gabel e Roberto Cominati, quest’ultimo talentuoso discepolo dello stesso Ciccolini.
Apertura del concerto briosa con la Danse Bacchanale tratta dal Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns: staccati plastici, crescendo particolarmente vigorosi e grande presenza degli ottoni hanno fatto da contraltare a uno splendido cantabile nelle parti dove i temi orientaleggianti, dal sapore modale, si muovono flessuosamente tra gli archi e i fiati.
A seguire è stata la volta del Concerto per pianoforte e orchestra n. 5 detto “Egiziano”, dello stesso Saint-Saëns. Il musicologo Mario Bortolotto ha definito questo componimento un “dono celeste”, nel quale c’è tutto il fascino per la modernità pur nella tenace fedeltà alle forme della tradizione. Roberto Cominati si presenta subito con sonorità rarefatte, con un suono perlato che non poteva che ricordare le dinamiche di un pianista monumentale come Radu Lupu. Il pianista ha intelligentemente scelto di non mostrare i “muscoli” del virtuosismo (cosa che farà in maniera eccellente nel terzo movimento) ma la forza del fraseggio e del colore, rivelando la sua sensibilità interpretativa. Così, quasi senza accorgersene, si arriva alle sontuose atmosfere ottocentesche dell’ultimo movimento dove il virtuosismo sfrenato e il carattere concertante della partitura non impensieriscono minimamente gli interpreti e il divertimento nel suonare che sembrano comunicare al pubblico. Il 18 marzo 1917 Camille Saint-Saëns interpretò il concerto presso la Sala dell’Augusteo di Roma. Il pubblico e la stampa decretò un trionfo “solenne e gigantesco” (come scriveva il Messaggero il giorno seguente) esaltando il giovanile vigore, la tecnica perfetta e la purezza di tocco e stile del pianista-compositore. Ci si permetta di dire, e non sembri azzardato, che per i presenti al Parco della Musica quella lontana serata è riecheggiata nelle note e nell’emozione percepibile in sala, grazie alla perfetta sintonia tra talento del solista e abilità dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
La seconda parte del concerto è stata dedicata alla Rapsodie Espagnole di Ravel, al Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy e alla Valse dello stesso Ravel.
Delle tre, l’orchestra è apparsa particolarmente a suo agio nell’interpretazione del Prélude di Debussy: dolce e molto espressivo il suono del flauto di Carlo Tamponi che tratteggia con raro fascino l’insinuante melopea del disegno iniziale. Conclusione spumeggiante nell’interpretazione “espressionista” della Valse di Ravel: sonorità traboccanti e tempo vorticoso imposto al brano, quasi al limite dell’idea stessa di danza. Un fermento sonoro che non diventa mai guazzabuglio informe e che denota invece una precisa scelta interpretativa e una originalità di intenti degne di lode.