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Recensione • Il concerto del giovane russo per le Serate Musicali tra grandi qualità tecniche e attenzione al dettaglio, manca in quest’occasione di una più organica interpretazione e visione d’insieme
di Luca Chierici
Sulla scorta del successo acquisito grazie alla partecipazione al Concorso Chopin di Varsavia 2010 (terzo premio), e soprattutto grazie ai primi posti conquistati l’anno scorso al “Rubinstein” e al “Čajkovskij”, cui è seguita la pubblicazione di un bel disco chopiniano prodotto da Decca, il ventunenne pianista russo Daniil Trifonov è stato accolto l’altra sera con grandi aspettative dal pubblico milanese delle Serate Musicali. Trifonov era impegnato in un programma che, attorno ai Preludi del musicista polacco, poneva l’ammaliante seconda Sonata di Skrjabin e la Sonata in si minore di Liszt. Siamo qui di fronte a un pianista che è in possesso di una tecnica davvero agguerrita sul versante virtuosistico, e che non teme di rischiare una minima perdita di controllo nella precisione allo scopo di sfruttare in pieno il proprio coinvolgimento emotivo nei confronti della musica che più lo affascina. La sua attenzione sembra però più diretta al risalto del singolo particolare strumentale che alla ricerca di significati più profondi o alla individuazione della struttura che sostiene la costruzione di pagine di vasto respiro come quelle da lui messe in programma per questo debutto milanese.
Le notevolissime qualità strumentali, che a volte potrebbero ricordare certi tratti del migliore Horowitz, non sono dunque sufficienti a farne di lui, per il momento, una figura sulla quale puntare senza riserve. Se in Skrjabin prevaleva il fascino del suono e il sottolineare la mutevolezza continua degli atteggiamenti espressivi, ingredienti più che legittimi nella lettura delle composizioni del musicista russo, della Sonata di Liszt si coglievano solamente i particolari mutuati da una tradizione esecutiva quasi plurisecolare, con la tendenza a evidenziare i tasselli di un mosaico complesso senza la preoccupazione di guardare alla visione d’assieme.
E in questa prima parte del programma presentato da Trifonov il suono risultava non sempre chiaro: il Fazioli a disposizione dell’interprete utilizzato con troppo largo uso del pedale di risonanza, mentre la scelta delle dinamiche non teneva conto delle mezze voci. Molto migliore, invece, l’esecuzione dei Preludi chopiniani, evidentemente “controllati” in passato in vista delle richieste tradizionalmente conservatrici della giuria del Concorso di Varsavia, non esattamente tenera nei confronti di proposte che esulino troppo dai confini di una certa “correttezza” sancita dalla tradizione. Correttezza che per Trifonov è tuttavia salutare, perché imbriglia la sua tendenza a deviare spesso e volentieri dalla strada maestra. Molti solisti della sua età si fanno quasi un vanto del fatto di non suonare due battute di fila senza apportare delle variazioni metriche che – secondo loro – giustificherebbero da sole una giusta varietà espressiva. Questa tendenza, unita all’aberrante mania di scambiare il rallentamento del tactus con un incremento di significati emozionali, porta spesso a risultati nefasti che hanno come risultato quello di far perdere all’ascoltatore la bussola che dovrebbe aiutarlo a raggiungere la meta di un percorso spesso non facile da seguire. In tal senso la performance di Trifonov non si prestava a tenere desta l’attenzione dello spettatore, proprio perché al di là della sommatoria dei momenti di bravura (nemmeno così straordinari, a dire il vero) mancava il collante rappresentato dalla continuità della proposta intellettuale o anche solo narrativa. L’unico pianista vivente per il quale la disomogeneità della scansione metrica diventa elemento estremamente positivo, e che porta a dei risultati poetici neppure commentabili, è Radu Lupu, un artista che però riesce a individuare in questo tipo di diseguaglianza la chiave perfetta per comunicare il significato più profondo di una frase musicale e allo stesso tempo di inserirla in un continuum che ti rivela l’essenza stessa di un’intera composizione. Come era accaduto qualche settimana fa nel caso di Kissin, il meglio del recital di Trifonov è arrivato con i bis: la Widmung di Schumann-Liszt (non a caso uno degli encore preferiti da Kissin stesso), la Gavotta dalla terza Partita per violino solo di Bach trascritta da Rachmaninov e la Danza infernale dall’Uccello di fuoco di Stravinskij, trascritta dal nostro Guido Agosti e oggi riguardata da altri giovani solisti (ad esempio Enrico Pace e Francesco Piemontesi) come traguardo assoluto di virtuosismo trascendentale. Al termine di quest’ultima trascrizione – davvero terrificante dal punto di vista meccanico e timbrico – il pubblico non ha trattenuto gli applausi più sfrenati che hanno sancito il successo straordinario della serata. Da queste premesse non sappiamo però in che direzioni si potrà sviluppare la carriera di Trifonov, personaggio assai difficile da inquadrare e che deve ancora imboccare un percorso artistico che affianchi degnamente le sue eccezionali qualità naturali.
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secondo me nn si può nemmeno paragonare radu lupu a trifonov, sarebbe un offesa per lupu. trifonov è uno pessimo pianista con un suono mediocre, sembra uno studente di 4 o 5 anno, ha dei forti scadenti, pochissimi armonici, secondo me è solo portato avanti da altri fattori, interessi commerciali. ogni volta che lo sento dopo neanche un minuto devo levare tanto che è riprovevole.