[wide]
[/wide]
Opera •Vivace e convincente lettura rossiniana del regista Damiano Michieletto in scena a Modena. La freschezza del giovane cast vivifica la produzione emiliana, a tratti acerba la direzione di Francesco Angelico
di Irene Sala
Forte del successo reggiano, “viaggia” fino a Modena il Barbiere di Siviglia targato Damiano Michieletto e prodotto a quattro mani dalle due città emiliane, fermandosi venerdì 15 (prima) e domenica 17 febbraio al Teatro Comunale Pavarotti. Lo spettacolo, come spesso accade per le rivisitazioni delle opere liriche in chiave moderna, spacca letteralmente a metà l’opinione del pubblico; ma dei fischi iniziali, sciolti presto in un sorriso, alla fine dell’atto I non rimane che un ricordo. Questo Barbiere, un po’ cheap and chic, un po’ “bisogna fare il massimo con il minimo” (oggi molto in voga), gode però di trovate accattivanti e originali, quali l’opera come metafora del viaggio (in treno!) in cui i personaggi vengono trascinati e travolti dall’incedere del ritmo incalzante della musica di Rossini, o come l’uso del colore e delle luci come guida visiva nelle diverse situazioni. Gode, inoltre, della freschezza dei giovani interpreti (solisti, orchestra e coro) dal marchio di fabbrica “Accademia del Teatro alla Scala”.
La difficoltà è dare forma a questo “non luogo” in cui si colloca la vicenda, svegliare l’immaginario del pubblico: i cantanti sono chiamati ad usare tutta la loro vena attoriale e teatrale, giocando con i pochi elementi sul palco. Sedie e ombrelli rossi muovono i volumi (aprono, chiudono, alzano, abbassano, proteggono, minacciano, uniscono, separano), la scala blu diventa meta di dichiarazioni d’amore e serenate sotto la stanza di Rosina, la bottega di Figaro viene disegnata in scena con le bombolette come un murales su un telo giallo (lo stesso giallo dei “bavagli” messi al collo dei vari clienti del barbiere, pronti per la rasatura), cuscini gialli e palloni bianchi volano e impazzano sul palco. Nello scorrere dell’intreccio non sempre tutti gli elementi si legano alla perfezione cogliendo nel segno, ma l’insieme risulta comunque divertente e convincente
Asciutti e precisi i gesti con cui il direttore Francesco Angelico guida i cantanti e l’orchestra, che restituiscono la musicalità frizzante dell’opera buffa pur svelando a volte un’interpretazione un poco acerba. Rispetto a Reggio Emilia cambia il ruolo di Rosina, sostenuto da José Maria Lo Monaco che sostituisce, cavandosela bene, l’indisposta Natalia Gavrilan. Confermato il resto del cast: il simpatico Figaro è Christian Senn, il fiero conte d’Almaviva è Enrico Iviglia, il grasso e vecchio Bartolo è Filippo Polinelli, l’infido Basilio è Simon Lim, la smaliziata Berta è Na Hyun Yeo e Fiorello/Un ufficiale è Davide Pelissero.
I costumi, realizzati da Carla Teti, caratterizzano il lato più triviale e schietto della personalità dei personaggi (Don Basilio è una verde “serpe” in carne ed ossa, Figaro ha un che di circense). Le luci di Alessandro Carletti sono usate in modo moderno ed efficace, come nel II atto quando all’ “alto là!” segue il pugno dato dal conte a Bartolo come se fosse “alla moviola”, ben reso dall’effetto a luce pulsante stroboscopica. Sul finire dell’opera i grossi palloni bianchi dal palco piombano a sorpresa in platea, svelando che anche il pubblico è stato fino a quel momento non spettatore bensì partecipe di quello strambo “viaggio”.
© Riproduzione riservata