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Opera • Cast di successo per le quattro recite fuori abbonamento della verdiana opera che fa più opera. Sul podio Corrado Rovaris, regia di Laurent Pelly
di Attilio Piovano
Solo quattro le recite, fuori abbonamento, per Traviata, al Regio di Torino (dal 5 al 13 marzo). Per l’occasione è stato ripreso l’allestimento per la regia di Laurent Pelly in co-produzione con il Santa Fe Opera Festival che (diretta da Noseda) inaugurò la stagione 2009-10 e venne portata con successo a Tokyo. Traviata – si sa – è l’opera che fa più opera, il melodramma per antonomasia, l’opera in assoluto più rappresentata nel mondo (chi non ricorda le immagini finali di Pretty Woman con la bella Julia Roberts rosso vestita), insomma uno di quei titoli intramontabili che, da soli, garantiscono il tutto esaurito: e non a caso è così in questi giorni a Torino, teatro gremitissimo e gran successo con pubblico esultante a fine serata. Sul podio l’ottimo Corrado Rovaris (direttore dal 2005 della Philadelphia Opera Company) del quale si è molto apprezzata la concertazione attenta e scrupolosa, i tempi giusti, i bei fraseggi fin dal Preludio striato di mestizia e poi via via incalzante. Rovaris ha saputo conferire pathos e drammaticità dove occorre (memorabile il finale), ma anche la giusta scioltezza alle scene d’insieme (bene il dinamismo del primo atto) e delicatezze estreme per i momenti intimistici e introspettivi. Lettura equilibrata con momenti di vera emozione. L’orchestra lo segue assai bene e così pure il coro (istruito da Claudio Fenoglio), salvo occasionali incertezze ritmiche (ad esempio nel brindisi, quanto meno la sera dell’8).
Violetta, abbigliata in modo curioso (una Violetta in camporella, suggeriva qualche malizioso), scalza, con pantaloni e camicia, pare più protagonista di Fanciulla del West e finisce per scrivere la sua lettera accovacciata su un masso
Nel cast ha primeggiato il soprano Patrizia Ciofi (assidua al Regio negli anni) nel ruolo di Violetta, facendosi ammirare sia per l’eccellente interpretazione vocale, così pure per la superba prova sul piano scenico. La Ciofi è capace di delicati pianissimi, suoni morbidi e vellutati, ma sa anche dare corpo alle mille screziature psicologiche richieste al personaggio, e la scena finale, in particolare, ha innescato notevoli emozioni. Un vero trionfo, insomma, salutato da applausi vivissimi e meritati in toto. Il tenore Piero Pretti ha voce incisiva ed aitante; sicché di Alfredo Germont ha dato un’interpretazione esuberante (talora un po’ sopra le righe), strappando consensi convinti in vari momenti. Ottimo il baritono Nicola Alaimo nel ruolo del padre Giorgio Germont, ha dizione chiarissima, autorevolezza sia vocale sia scenica, assai applaudito ed apprezzato per la statura morale conferita al personaggio sbozzato con un’interpretazione ineccepibile. Nel cast meritano un plauso speciale l’Annina di Francesca Rotondo dall’incisiva, partecipe e commovente interpretazione, il Gastone di Enrico Iviglia (tenore astigiano dalle ottime qualità tuttora in ulteriore crescita); Silvia Beltrami ha dato voce a Flora, mentre Paolo Maria Orecchia impersona il barone Douphol e Scott Johnson il marchese D’Obigny. Da menzionare i validi ballerini Simona Tosco e Luca Martini (ancorché la regia li collochi in un contesto un poco fuori misura, ma non è colpa loro).
Ed ora la regia di Pelly che firma anche i costumi (regia ripresa da Anna Maria Abruzzese). Continua a destare perplessità, a partire dal Preludio a scena aperta con ‘passaggio di funerale’ in una Parigi piovosa, lugubre e umida: idea non certo nuova e un po’ troppo didascalica, sia pure in sintonia per così dire con Dumas. Se l’idea può apparire valida al fine di sottolineare la valenza anticipatrice dello stesso Preludio, vera sintesi sonora del tragico epilogo e tutti sanno come ‘va a finire’, per altri versi può anche distrarre dalla partitura stessa. Scene di Chantal Thomas troppo essenziali, moderne, quasi scarne e per lo più cupe con quei troppi parallelepipedi grigio-nerastri sovrapposti (e le luci di Gary Murder non aiutano certo); per parte mia continuo poi a non capire perché mai quella distesa erbosa, vistosamente ‘finta’ come nei plastici dei trenini, per il secondo atto (anziché un più tradizionale interno, con caminetto, orologio e scrittoio come prescritto dalla didascalia), tant’è che Violetta, abbigliata in modo curioso (una Violetta in camporella, suggeriva qualche malizioso), scalza, con pantaloni e camicia, pare più protagonista di Fanciulla del West e finisce per scrivere la sua lettera accovacciata su un masso. Inoltre non si capisce che bisogno c’è di farla rotolare a terra mentre Alfredo (che dovrebbe entrare solo) canta «Lunge da lei». La regia nel corso dell’opera punta su alcuni validi ‘fermi immagine’ di segno cinematografico, ma la scena del brindisi indulge in alcune eccessive cadute di gusto, e così pure dicasi della ballerina in atteggiamenti – ancora – didascalicamente provocanti. Perplessità per l’abbigliamento delle zingarelle (che sono in tutto e per tutto gemelle delle dame alla festa). Vistoso il contrasto tra la scena della festa in casa di Flora (col celeberrimo climax drammaturgico, «Questa donna pagata io l’ho») e l’atto terzo che si apre senza soluzione di continuità con la stessa scena trasformata in stanza di Violetta. Intervengono servitori e uomini a velare gli arredi con teli bianchi… come prima di un trasloco o di un trasferimento quando si lascia una casa per mesi… assai discutibile l’efficacia registica del tutto, col pregio peraltro di concentrare l’attenzione sul solo letto di Violetta e su di lei che, in questo caso, grazie a Patrizia Ciofi come si diceva superba attrice oltre che cantante di prima grandezza – merita rilevarlo – ha davvero giganteggiato.
Traviata | Rappresentazione dell’8 marzo 2013 | Teatro Regio di Torino | In scena fino al 13 Marzo
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