Anniversari • L’associazione torinese, da sempre attiva nel sostegno a giovani interpreti e musicologi, taglia il traguardo del quarto di secolo: concerto dei borsisti e dell’orchestra Archi De Sono
di Attilio Piovano
Festa grande per i venticinque anni della torinese De Sono, Associazione per la musica (costituita nel 1988 il cui atto di nascita concertistico, per così dire, risale al 13 febbraio 1990), per la direzione artistica di Francesca Gentile Camerana che ne fu l’ideatrice e la fondatrice – col sostegno di personaggi quali Luigi Nono, ma anche Umberto e Giovannino Agnelli – e da sempre ne è la principale e strenua sostenitrice (presidente attuale Carlo Pavesio, preceduto per lunghi anni da Gabriele Galateri di Genola). Un quarto di secolo di vita e oltre 200 giovani musicisti, talenti emergenti e in parte già in via di affermazione, sostenuti con borse di studio che hanno permesso loro di perfezionarsi con illustri maestri, specie sul delicato versante della musica da camera; tra i moltissimi nomi, vari i musicisti oggi in carriera: è il caso ad esempio dei violinisti Antonello Manacorda, per molti anni spalla della MCO e Francesco Manara: quest’ultimo – prima parte della Filarmonica scaligera – negli scorsi giorni a Torino ha concluso con un memorabile concerto l’assai ricca e variegata XXI stagione di Polincontri Classica, presso l’Aula Magna Agnelli del Politecnico, nel corso di un’applaudita maratona dedicata all’integrale delle Sonate e Partite di Johann Sebastian Bach dinanzi ad un pubblico attento e con una sala gremitissima. Ma è il caso anche di Simone Briatore, per lunghi anni prima viola dell’OSNRai ed ora a Santa Cecilia, e poi il Quartetto d’archi di Torino (che vanta ormai 26 anni di attività artistica), il Trio Debussy, uno dei rari trii italiani “a tempo pieno”, il Trio Johannes, e poi il direttore di coro Carlo Pavese, e ancora l’arpista Letizia Belmondo, pianisti come Saskia Giorgini e Gabriele Carcano. E l’elenco potrebbe continuare.
Non basta: la De Sono in 25 anni ha avviato e sostenuto (a partire dal 1989) un’attività editoriale di altissimo livello, promuovendo la pubblicazione di svariate tesi di laurea di ambito musicologico, selezionate tra le molte meritevoli di pubblicazione. E il catalogo è ormai fitto (oltre 30 titoli). La De Sono ha inoltre pubblicato un’apprezzata serie di originalissime monografie dall’inconsueto formato ad album (a cura di Franco Pulcini) dal ricco apparato iconografico e dal vasto contenuto (memorabili quelle su Musorgskij, Janácek e Sostakovic, ma anche su Verdi, Dvorák e via elencando). E poi il terzo filone della De Sono, quello dell’attività concertistica, sia sul versante contemporaneo (da Kurtág a Vacchi) sia su quello antico: da ricordare la prima esecuzione moderna nel 2007 dell’Annibale in Torino di Paisiello. E ancora il fiore all’occhiello di una vera e propria orchestra, l’Orchestra “Archi” che lo scorso sabato 18 maggio a Torino, in Conservatorio, ha coronato una giornata intera di musica, una ricca kermesse.
Nel pomeriggio la lunga maratona s’è svolta al Teatro Vittoria e ha visto coinvolta – dalle 15 alle 19 – una quarantina di musicisti in varie formazioni, con musiche che spaziavano dal barocco di Vivaldi a Mozart (Quartetto K 478), da Beethoven (Settimino) a Schumann, Brahms, Saint-Saëns e ancora il sommo Schubert (il Quintetto “La trota”) e Ravel (Introduction et allegro). E nel pomeriggio alla presenza del nume tutelare Lorenzo Bianconi, a testimonianza della musicologia internazionale, c’è stata anche la presentazione dell’ultima pubblicazione, la tesi di Valentina Confuorto su «Don Giovanni di Mozart in Germania». Breve pausa e poi tutti in Conservatorio per il concerto dell’orchestra “Archi” guidata dall’esperto e sensibilissimo Alessandro Moccia. Grande sorpresa del pubblico, anche di quella parte del pubblico che già ben conosceva “Archi” e che con piacere ha seguito l’evoluzione del complesso. Il suono: la qualità del suono, la “pasta” degli archi. Ecco, è quanto ha colpito immediatamente fin dalle prime note dell’amabile Suite op. 1 di Nielsen, garbato pastiche di stampo neoclassico che i validi strumentisti hanno affrontato con indicibile duttilità restituendone la grazia seducente sia pure un poco frale. Poi il sommo Debussy e le superbe Deux Danses che vedono in veste di solista un’arpa (l’ottima Stefania Saglietti dalla tecnica solida e dalla raffinata sensibilità coloristica). Moccia ha guidato con mano salda la compagine facendo risaltare la ieraticità arcaicizzante e vaporosa della Danse sacrée prossima alle atmosfere di Danseuses de Delphes, per poi sprigionare tutta la freschezza primaverile dell’aitante Danse profane dall’inebriante profumo. Raramente è capitato di ascoltare un’esecuzione così emozionante del capolavoro cameristico di Debussy, specie per appropriatezza di stile e flessuosità ritmica.
Poi la pseudo rarità dei Valzer per archi frutto di uno Schönberg giovanile, ancora lontano mille miglia dagli esiti scopertamente modernisti della maturità: uno Schönberg elegante (e invero inoffensivo), in bilico tra la genia degli Strauss viennesi e certe seduzioni Jugendstil, ma all’acqua di rose. Valzer simpatici e piacevoli, e pur fitti di delizie strumentali e anche qualche (piccola) preziosità, col pregio (raro) della concisione e il già saldo senso della forma. In programma anche la simpatica ed estetizzante Suite per archi op. 40 “Dai tempi di Holberg” del candido Grieg, che Moccia e i giovani strumentisti targati De Sono hanno accarezzato con partecipe serenità, con giovanile trasporto, e anche sapendovi infondere al meglio quello struggente senso di malinconia, quel rimpianto per un passato che non torna più, assolutamente insito nella bella partitura dalla singolare politezza formale. Anche qui si sono potuti ammirare un suono pulito e rotondo, un affiatamento a dir poco invidiabile (e di rado riscontrabile in complessi professionali di ben altra caratura), un entusiasmo e una freschezza davvero unici, come unica è (quanto meno sul territorio nazionale) la realtà della De Sono. Felice ed esuberante conclusione nel segno delle estroverse Danze popolari rumene del geniale Bartók dove peraltro – si sa – c’è posto anche per pallori e misteri notturni, rarefatte striature, indicibile spleen di matrice tutta slava, colorismo e sonorità stranite, il tutto restituito con efficacia dagli Archi della De Sono già esibitisi al fianco di artisti come Demenga, Lonquich o Cascioli in varie città italiane (di recente a Firenze, Milano e Bologna) ovunque guadagnandosi l’ammirazione del pubblico e i consensi della critica. Lunga vita dunque alla De Sono (che gode del sostegno della Compagnia di San Paolo), e in particolare all’Orchestra Archi (frutto di un’Accademia di perfezionamento per strumentisti ad arco, affidata dal 2005 alle cure di Carlo Bertola), isola felice nel panorama musicale italiano e sicura ‘base’ di lancio per giovani talentuosi: e sono assai più numerosi di quanto si potrebbe immaginare.