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Recensione • Si è conclusa la 52a edizione delle Settimane Musicali di Stresa e del Lago Maggiore: eseguite pagine di Smetana, Rachmaninov e Beethoven. Solista Kirill Gerstein
di Attilio Piovano
Due intense settimane di full immersion con la grande musica, insomma con la classica a 360 gradi, dal Barocco al grande repertorio sinfonico, dalla musica da camera ai recital solistici, e sabato 7 settembre si è concluso, con vivo successo di pubblico, al Palazzo dei Congressi, il 52° Stresa Festival. Per la chiusura, applaudito concerto della Czech Philharmonic diretta da Jiří Bělohlávek. Una compagine di buon livello, omogenea ed equilibrata, con archi talora lievemente aspri, ma corposi, buoni legni e ottoni squillanti. Ottima e davvero accurata si è rivelata la concertazione di Bělohlávek che a inizio serata ha diretto (a memoria) di Smetana il poema sinfonico Sarka, da Ma Vlast: narra della leggendaria amazzone boema che per vendetta inganna l’eroe Ctirad, seducendolo e facendolo cadere in un’imboscata. Ben assecondato dall’orchestra, del variegato poema sinfonico Bělohlávek ha posto in luce – sagacemente – l’esordio concitato, poi puntando su sensualità e charme melodico per la “scena” della fatale effusione seguita dall’orgia bacchica, infine fiondandosi con energetico vigore nel drammatico finale, animato e intriso di ineluttabile fatalismo. Ed è stata davvero una bella vetrina per l’orchestra che ha posto così in luce al meglio le proprie peculiarità, muovendosi – è pur vero – in acque territoriali (col conterraneo Smetana).
Nel secondo di Rachmaninov solista il giovane e già assai affermato Kirill Gerstein. Ha tecnica da vendere, agguerrita e sicura, dove però non convince è nel cantabile pur dolce e timbrato
Ma poi con Beethoven la Filarmonica ceca si è confermata ad un buon livello e sotto la guida affettuosa e puntuale di Bělohlávek ha dipanato con il giusto vigore la celeberrima e sempre amata Settima Sinfonia. Dei quattro movimenti il migliore è risultato senza dubbio il Finale, fin dall’attacco, robusto e virile, e poi quei memorabili spostamenti d’accento che tanti fiume d’inchiostro hanno fatto scorrere, e quegli andamenti di danza citati da tutti i commentatori (quanto meno da Wagner in poi). Una lettura coerente e coinvolgente, quella di Bělohlávek, già a partire dal Poco sostenuto, centellinato con cura. Velocità prudenziale per l’Allegro d’esordio, col rischio di fargli perdere un poco in tensione, ma ci guadagna per contro, in chiarezza di fraseggi (e pazienza per qualche occasionale minima defaillance di corni, cose che capitano anche a pur ottime prime parti). Se nel complesso del primo tempo si sono apprezzate la luminosità, la verve, ovvero i ritmi incisivi (ottime viole e violoncelli), il famigerato e superbo Allegretto dal caratteristico ritmo dattilico (chi non ricorda le scene del Discorso del re dove figura come ottima colonna sonora) mi è parso un po’ troppo veloce e poco calibrato nel crescendo. Partire già mezzo forte significa vanificare l’effetto di immane tensione che un crescendo dosato al millimetro comporta. Per contro, molto bene invece il fugato, efficace e fantomatico, con quel pianissimo sorprendente e il magistrale climax fino all’apice del fortissimo. Irresistibile il successivo Presto, dai blocchi sonori contrapposti: eccitato e magnetico, pieno di attrattiva. Insomma una Settima che, se in apertura ha destato qualche perplessità, ha poi convinto appieno. Bis rossiniano al fulmicotone (la pimpante ouverture de La scala di seta) eseguita con una brillantezza e un nitore davvero impagabili e, direi, anche con partecipe humour, comme il faut.

A centro serata (unica volta in cui Bělohlávek è ricorso alla partitura rinunciando alla sua ottima memoria, ragionevolmente per evidenti ragioni di insieme) figurava il Secondo Concerto pianistico del mago Rachmaninov: solista il giovane e già assai affermato Kirill Gerstein. Ha tecnica da vendere, agguerrita e sicura, una mano prodigiosa e si muove con incredibile scioltezza, con vigore e suono di gran caratura, ma senza mai esagerare in sonorità eccessivamente granitiche. Dove però non convince è nel cantabile pur dolce e timbrato: nei celeberrimi, effusivi temi che di Rachmaninov sono un punto di forza Gerstein non risulta magnetico come occorre e finisce per trascurare l’aspetto macerato, decadente, o se si preferisce quella melanconia struggente, quegli abbandoni che del grande Rach sono la firma. E dire che Gerstein è russo: fin troppo solare e aproblematica la sua visione di Rachmaninov, è giovane e forse proprio in questo sta la sua pur possibile chiave di lettura. Detto questo – occorre riconoscerlo – il pubblico che legittimamente spesso appare incline ad apprezzare in primis (se non in assoluto) l’aspetto più immediato e vistoso, ovvero l’esasperato virtuosismo che il Concerto richiede, ha decretato a Gerstein un successo a dir poco strepitoso: al quale il cordiale interprete ha risposto con la suadente Melodia op. 3 n° 3 (dai Morceaux de fantaisie), manco a dirlo ancora di Rach. Da registrare l’intesa pressoché perfetta con l’orchestra grazie alla mano sapiente del direttore che ha governato il tutto con sicurezza.

Nell’impossibilità di un resoconto a tutto campo dell’intero Festival, per intuibili ragioni di spazio, non si possono omettere tuttavia alcune segnalazioni relative a vere e proprie highlights: così i due apprezzati concerti diretti dal direttore artistico Noseda (alla guida dell’Orchestra dello Stresa Festival e dell’Orchestra del Regio sul versante del rossiniano Stabat Mater, solisti di lusso Maria Agresta, Angela Brower, Gregory Kunde e Mirco Palazzi), la succulenta plurima incursione nell’ambito degli ultimi Quartetti beethoveniani con il Keller, il Prometeo e l’Amaryllis, l’applaudito recital di sola arpa con Xavier de Maistre a Villa Ponti e ancora il successo personale di Giuliano Carmignola e dei Sonatori de la Gioiosa Marca sul versante di Corelli e Vivaldi. Appuntamento all’edizione 2014. Come sempre sui luoghi ameni del Lago Maggiore.