Recital • Il pianista russo sembra oggi attraversare una nuova e più completa fase interpretativa. Lo abbiamo ascoltato a Milano con un programma dedicato a Schubert e Skrjabin
di Luca Chierici
BENIAMINO DEL PUBBLICO DELLA SOCIETÀ DEI CONCERTI, che lo ascolta a Milano dal lontano 1988, Evgenij Kissin ha tenuto l’altro ieri dopo poco più di un anno di assenza il suo atteso recital centrato sui nomi di Schubert e Skrjabin. Kissin ha oggi 42 anni e pur mantenendo intatta sotto certi aspetti la freschezza dell’adolescenza che lo aveva visto negli anni Ottanta irrompere da protagonista nel mondo musicale impressionando artisti del livello di Karajan e Abbado, sembra attraversare un periodo di maturazione che lo porta da un lato a riconsiderare in senso più profondo il significato del possesso di una facilità tecnica assoluta, dall’altro a esplorare musiche che richiedono uno sguardo introspettivo che trascende quello che è un felicissimo rapporto naturale con la tastiera.
Si è perciò vissuta una netta separazione tra i due versanti nel programma scelto da Kissin, che si è aperto con una sonata di Schubert assai problematica, la D.850, una delle tre sole che furono pubblicate durante la breve vita del musicista. È un lavoro che mostra una duplice natura virtuosistica e poetica. Da un lato la dedica al brillante pianista Carl Maria von Bocklet, che giustifica una scrittura estremamente raffinata e vivace realizzabile al meglio se tramandata attraverso la meccanica dei pianoforti viennesi d’epoca, richiede oggi un uso piuttosto artificioso del moderno grancoda, rivolto a smussare certa insistita percussività degli accordi. D’altro canto lo spirito Biedermeier che la innerva, i continui richiami a motivi di danza, l’inaspettata meccanicità del finale richiedono una conoscenza perfetta del tono colloquiale schubertiano, della straordinaria varietà di tutto un mondo di Valzer e Laendler, della gestione delle “celestiali lunghezze”. Non è un caso che questo capolavoro si ascolti assai raramente in pubblico e che la sua rivelazione sia avvenuta grazie alle illuminate letture di pianisti del calibro di Schnabel, Richter, Gilels, Kempff. Kissin ne ha affrontato le complessità linguistiche da par suo ma ha fatto anche trapelare un coinvolgimento personale intensissimo che ha portato a sottolineare certi lati oscuri della poetica schubertiana più che a illuminarne gli aspetti più manifestamente espansivi memori dei raduni conviviali nel Wienerwald.
Con la seconda parte del programma si cambiava completamente pagina e Kissin ritornava sul problema del proprio rapporto con il repertorio russo, già affrontato e risolto in passato ad esempio attraverso le sonate di Prokof’ev. Autore poco esplorato finora da Kissin (e la cosa è del tutto in linea con la fase di prolungata adolescenza del pianista) Skrjabin è stato evocato l’altra sera attraverso la seconda sonata, una specie di studio preparatorio per i dittici che caratterizzeranno gli esperimenti più avanzati del suo linguaggio, e un’ampia scelta dagli Studi op.8, riuscitissimo esempio di evoluzione tardiva di un genere che aveva tenuto banco per tutto il secolo diciannovesimo. Kissin ha dimostrato qui un dominio tecnico-espressivo straordinario che risentiva certo di tutta una tradizione interpretativa ma che allo stesso tempo rifuggiva da una lettura troppo languorosa e “malata” di lavori che si possono prestare a molti travisamenti. Il grande successo della serata si è prolungato con la concessione di tre bis da parte del pianista come sempre riconoscente nei confronti del suo pubblico: l’affascinante Siciliana di Bach nella trascrizione di Kempff, il difficilissimo Studio op.42 n.5 di Skriabin e la Polacca “Eroica” di Chopin.
Recital del pianista Evgenij Kissin | Milano, Società dei Concerti, 28 Novembre 2013