Recensione • Il gigantesco affresco sinfonico rappresentato dall’Ottava di Mahler ha risuonato a Milano dopo ventisette anni di assenza. Il direttore ha donato gratuitamente la propria partecipazione all’Orchestra Verdi nel ventesimo anno dalla fondazione. Stasera la seconda ed ultima replica
di Luca Chierici
A DISTANZA DI QUASI TRENT’ANNI MILANO HA RIASCOLTATO l’Ottava di Mahler grazie all’intervento artistico di Riccardo Chailly che nel lontano 1986 aveva diretto i complessi della RAI all’allora Palatrussardi. Uno sforzo organizzativo non da poco ha convogliato ancora una volta i numerosissimi spettatori in una sala differente – il centro congressi MiCo di Milano Fiera – ma anch’essa nata per altri tipi di manifestazioni e quindi per nulla adatta alla fruizione musicale. Questo l’unico neo di una scelta che peraltro non avrebbe potuto contare su una sede più consona, pena la riduzione di un organico che la tradizione vuole il più possibile numericamente vicino a quei “1000” desiderati dal compositore. Ma la componente numerica rischia di assorbire totalmente l’attenzione del pubblico e porre in secondo piano i veri motivi di interesse di una partitura gigantesca, complessa, che andrebbe conosciuta con un maggior grado di approfondimento, ossia attraverso un ascolto in disco o in una sala da concerto dall’acustica perfetta. L’impatto fonico dell’incipit non c’è dunque stato l’altra sera e si è rivelato essere un po’ come un biglietto da visita per una performance che si è mantenuta su un livello di sonorità attenuato proprio a causa della struttura del centro congressi, del tutto inadatta all’occasione. Il rito si è comunque ripetuto con successo e ha attirato il pubblico delle grandi prime, giunto fin lì anche per rendere omaggio a chi diventerà a breve il nuovo Direttore musicale del Teatro alla Scala.
Chailly ha in repertorio l’Ottava di Mahler da tanti anni, dunque, e ne conosce alla perfezione ogni dettaglio. Più che nell’avvio e la costruzione tutta di quella macchina da guerra che inizia con l’Allegro impetuoso e si avventura alla fine in un superba sezione fugata – la prima parte della sinfonia lascia relativamente poco spazio agli estri del direttore, impegnato a controllare un insieme tra i più impegnativi in assoluto – Chailly ha dato il meglio di sé nella difficile definizione dei piani sonori della parte seconda, dove all’inizio avremmo voluto davvero ascoltare i tremoli dei violini in pianissimo (che si perdevano, sopraffatti dal rumore dell’impianto di condizionamento della sala). Si è trattato in ogni caso di un momento magico, dove il direttore ha compiuto il miracolo di far rivivere una sorta di distillato di tutta l’esperienza musicale tardoromantica. Qui Mahler prende come fondamento l’evocazione della tonalità tipica del Götterdaemmerung, il mi bemolle minore, ma ne scardina continuamente le basi attraverso modulazioni inaspettate e colme di fascino, ribadendo ancora una volta la propria personale cifra stilistica che si dichiara del tutto in quello straziante intervallo di nona appena precedente la sezione Più mosso.
Ma tutta la Schlusszene del Faust è stata letta da Chailly con ammirevole profondità e intima conoscenza del linguaggio mahleriano, tanto da motivare in noi la convinzione che proprio l’Ottava rimanga in un certo senso la sinfonia che più riflette tra le altre il carattere del direttore milanese. Un connubio che ha pochi precedenti – forse il solo Bernstein – e che pone Chailly in una sorta di empireo dei più grandi direttori mahleriani, accanto ad Abbado.
Alla realizzazione dell’evento hanno evidentemente collaborato tutte le componenti che affollavano la locandina, in primis l’Orchestra Verdi che ha dato prova di grande professionalità e amore verso le intenzioni del proprio direttore onorario. Valenti voci soliste, tra le quali indichiamo per brevità l’eccellenza del basso Samuel Youn, e i tre cori d’obbligo hanno per una sera trasformato la milanesissima struttura della Fiera nel mitico Salone delle esposizioni che aveva attirato nel 1910 a Monaco i maggiori esponenti della cultura mitteleuropea.
Concerto dell’Orchestra Verdi Direttore Riccardo Chailly |MiCo, 21 Novembre 2013, Milano
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Chailly e l’incontro con gli studenti dell’Università Milano-Bicocca
«È una sinfonia che ho veramente vissuto e da sempre portato con me, sottopelle. Il fatto che sia la sesta volta che la eseguo, dopo Milano e Berlino negli anni Ottanta, ad Amsterdam per due volte e al Gewandhaus di Lipsia nel 2011 nel Festival Mahler, mi dà la possibilità ancora una volta di ripensare a questa grandissima partitura». Così Riccardo Chailly la scorsa settimana durante l’incontro con gli studenti dell’Università Statale di Milano-Bicocca. In un interessante colloquio a due voci con la musicologa e studiosa Anna Maria Morazzoni, docente presso la stessa Università (e alla presenza del Rettore Cristina Messa e del Direttore Generale de laVerdi Luigi Corbani) il direttore d’orchestra ha raccontato il suo rapporto con la musica di Mahler e con questa sinfonia, partendo dall’esecuzione dell’86
«Ero talmente giovane che rapito dall’entusiasmo della scoperta di questa partitura non avevo ben chiare le responsabilità interpretative globali. È talmente vasta la dimensione che va oltre il limite della razionalità di un d’orchestra. Cosa vuol dire? Che ogni volta la propria lettura deve anche adattarsi all’immenso spazio acustico e alla quantità abnorme di esecutori. Quindi uno può avere in testa una interpretazione ideale ma sarà sempre dettata da questi elementi. Riguarderei con timore oggi la mia prima esecuzione poiché mi sembrerebbe di essere il padre di quel ragazzo che era sul podio».
(S.P.)
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