L’opera di Richard Strauss si è svolta nel teatro milanese all’insegna della memoria di Patrice Chéreau: la sua regìa è stata ripresa da Vincent Huguet con la direzione musicale di Esa-Pekka Salonen
di Luca Chierici
LA PRIMA ESECUZIONE MILANESE di Elektra, frutto di una coproduzione che era stata già presentata al pubblico di Aix, è avvenuta nel segno del commosso ricordo di Patrice Chéreau: il sovrintendente Lissner ha voluto leggere personalmente un testo riportato nel programma di sala affacciandosi al proscenio prima dell’alzata di sipario. Un ricordo non certo di occasione, in cui Lissner ha avuto parole bellissime nei confronti di un grande uomo di teatro e di un amico, proprio in un momento di così delicato passaggio di consegne per la guida della Scala. «L’uomo l’abbiamo perduto – ha concluso Lissner – ma l’artista è qui con noi» e davvero la figura di Chéreau ha idealmente guidato lo svolgimento del capolavoro straussiano fino allo straordinario successo finale, che un pubblico entusiasta ha tributato allo spettacolo, al direttore e ai magnifici cantanti. L’avvio musicale era preceduto dal forse eccessivo protrarsi di un prologo che mostrava l’andirivieni della servitù del palazzo nel cortile che occupava tutta la scena unica dell’opera, ideata da Richard Peduzzi. Un cortile circondato da mura, sullo sfondo l’ingresso a nicchia agli appartamenti del palazzo e a sinistra un ampio portone di ferro. Una donna si affannava a pulire le scale di accesso al palazzo con una ramazza, quasi a simboleggiare la rimozione delle tracce dei nefasti avvenimenti che avevano portato all’assassinio di Agamennone. Questa scena muta aveva come unico difetto quello di rendere imprevedibile l’attacco dell’orchestra – e quale attacco! – un luogo che tutti coloro che conoscono l’opera attendono come avvenimento sincrono all’alzata di sipario.
I contorni della tragedia passata e di quella immanente non vengono suggeriti né dalle scarne scene, né dai costumi atemporali di Caroline de Vivaise, piuttosto dalla musica stessa che entra subito nel vivo dell’azione. Qui, come nel resto dell’opera, domina incontrastata la figura della protagonista, che nel suo ricordo dell’assassinio di Agamennone, anticipa i movimenti di danza che contraddistingueranno il finale. Si può parlare qui di danza? Chéreau, seguendo il libretto richiede a Elettra i movimenti di una namenloser Tanz, una danza indicibile i cui movimenti scomposti richiamano quelli delle tarantate del sud Italia. L’elemento del tutto nuovo introdotto dal grande regista lo si coglie nella lunga scena del dialogo tra Elettra e Clitennestra, dove l’attenzione viene spostata dal protagonismo di una Regina angosciata da terribili sogni a quello di una madre che tenta di riallacciare un rapporto confidenziale con la figlia ribelle. E ancora, all’arrivo di Egisto, Elettra illumina sinistramente il cadavere della madre appena uccisa da Oreste in modo tale che allo stesso Egisto, accoltellato questa volta dal Precettore, sia riservata una morte in un momento di atroce terrore. Elektra veste pantaloni e uno smanicato, Crisotemide una lunga gonna puritana : sono sufficienti questi elementi per sottolineare le differenze tra sorelle, la prima guidata dall’odio e dal sentimento di vendetta per la morte del padre, la seconda mossa da un esaltato desiderio di riscatto attraverso l’amore e la maternità, temi questi ultimi ben cari a Strauss.
Tutte le buone rappresentazioni del capolavoro di Strauss-Hofmannstahl incutono un senso di angoscia più che comprensibile, ma nel nostro caso raramente si è vissuta una compenetrazione totale tra l’idea scenica, la concertazione e l’apporto dei cantanti nei ruoli principali. Esa-Pekka Salonen ha dominato la partitura difficilissima con arte straordinaria, rifuggendo da facili effetti di gigantismo sonoro e assecondando i cantanti senza mai prevaricare. Waltraud Meier ha assecondato si potrebbe dire del tutto naturalmente (per il suo attuale tipo di vocalità) la visione registica che Chéreau ha del personaggio di Clitennestra, così come ha fatto Adrianne Pieczonka nel caso di Crisotemide. Evelyn Herlitzius, accolta alla fine da applausi interminabili, è stata semplicemente Elektra dall’inizio alla fine con una immedesimazione nel ruolo che ha del portentoso. René Pape ha anch’egli sposato in tutto e per tutto la visione del regista: Chéreau conferisce ad Oreste il ruolo assai misterioso del vendicatore che sembra agire solamente per volere del fato, senza tradire un minimo accento di affetto verso le sorelle e la servitù che lo abbraccia memore e riconoscente. A cose fatte, Oreste se ne esce dal portone del cortile con l’aria di chi non farà più ritorno nella reggia di Agamennone nonostante le invocazioni di Crisotemide. Elektra, invece di stramazzare esanime al suolo rimane come impietrita nel proprio delirio. Un delirio che per tutt’altri motivi ha contagiato anche il pubblico presente a questa recita straordinaria.
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