
Al Lingotto di Torino, in occasione dell’apertura di stagione con orchestra e coro della WDR , la pagina sacra brahmsiana: severità nordica e cordialità viennese
di Attilio Piovano
ANCORA GRANDE MUSICA sacra a Torino, nell’anno dell’Ostensione della Sindone, della visita di papa Francesco e delle manifestazioni salesiane per il bicentenario di San Giovanni Bosco; dopo la beethoveniana Missa solemnis con la quale ha esordito la stagione dell’OSNRai e dopo la Messa da Requiem di Verdi che il Regio ha prescelto per inaugurare a sua volta, la sera di lunedì 6 ottobre ad aprire il cartellone di Lingotto Musica presso il vasto Auditorium ‘G. Agnelli’ di via Nizza progettato da Renzo Piano è stato Ein deutsches Requiem di Johannes Brahms. Per l’occasione la direzione artistica attenta e sensibile di Francesca Camerana ha convocato la WDR Sinfonieorchester Köln affiancata da WDR Rundfunkchor e NDR Chor. Sul podio il finlandese Jukka-Pekka Saraste, solisti il soprano Hanna-Elisabeth Müller, voce incisiva e fresca, molto ammirata, pur dopo qualche incertezza iniziale, nel dolce e struggente «Ihr habt nun Traurigkeit» («Ora siete nella tristezza») e il baritono Andrè Schuen, apprezzato per i puntuali interventi, la bella emissione e il timbro caldo. Grande performance, soprattutto, quella dei due cori riuniti. E si sa quanto fondamentale sia l’apporto della compagine corale nella toccante partitura concepita a seguito della scomparsa della madre, a partire dall’iniziale (e sublime) «Selig Sind» («Beati quelli che soffrono perché saranno confortati», Matteo 5, 4) che apre la stupefacente pagina, resa con incredibile dolcezza ed estenuazione sonora.
Il vero clou espressivo del Requiem tedesco, si sa, è da ricercare in quella seconda sezione percorsa dal pulsare del timpano e con quel soggetto di corale che, striato di ieratica austerità, s’impone all’ascolto in maniera indelebile. Ed è un passaggio tratto dalla Prima Lettera di San Pietro («Simile ad erba è l’uomo e tutta la sua gloria come un fiore di campo») a fare da substrato a questa magnifica, commovente parte del Requiem: capolavoro assoluto per il quale Brahms scelse di interpolare passi dalle scritture (anziché adottare il tradizionale testo latino della liturgia), avvalendosi di singoli versetti tratti da Isaia, dal Siracide, dalle lettere di Giacomo, Pietro, Paolo e dall’Apocalisse, come pure attingendo ai Salmi. Poi, dopo l’insistita figurazione del timpano e il quieto incedere iniziale del coro, ecco una dolce melodia, amabile come un grazioso elemento naturalistico. C’è tutto Brahms in questi due spunti, la severità nordica dell’uomo nativo di Amburgo e la cordialità del clima viennese dove egli mise solide radici, artistiche e culturali.
Jukka-Pekka Saraste ha dato una lettura coerente del Requiem, opera eccelsa e vertice assoluto della musica sacra di tutti i tempi (ancorché non liturgica) nella quale Brahms riversò la propria concezione della morte e della vita: affresco di incredibile bellezza che a suo modo affonda le origini nella tradizione musicale (e religiosa) tedesca (quei lunghi ‘pedali’ evocatori della bachiana Passione secondo San Matteo, certi ‘passeggiati’ tipicamente barocchi ed altri dettagli ancora). Una visione della morte serena, pacificante, quella professata da Brahms, non dissimile da quella che sarà a fondamento del dolce Requiem del francese Fauré, lontana invece anni luce dalla teatralità esteriore della verdiana Messa da Requiem. Tutti elementi emersi nell’intepretazione di Jukka-Pekka Saraste che ha potuto contare su un’orchestra di buon livello, certo, ancorché – a dire il vero – nei passi fugati come l’assertivo «Die Erlöseten» («Ritorneranno i salvati del Signore») ritmicamente non tutto fosse a posto. Bene per impatto e magnificenza sonora e molte emozioni; pur tuttavia da una compagine teutonica ci si sarebbe aspettati una perfezione assoluta e invece alcuni particolari e fraseggi apparivano non del tutto messi a fuoco, certe chiusure non perfettamente in asse. Ma a fronte di questi piccoli nei e di talune lievi smagliature, i due cori, occorre rimarcarlo, hanno fornito una prova davvero eccellente, sicché le emozioni non sono mancate, ad esempio in «Quanto amabili sono le tue dimore» dalle confortanti e suadenti linee melodiche, giù giù sino al rarefatto epilogo. Applausi protratti e convinti e tutta la nostra gratitudine per aver riascoltato la partitura brahmsiana dalla straordinaria bellezza e dalla singolare profondità, ancora una volta occasione preziosa per riflettere sulla realtà ultima della vita dell’uomo.