Il Direttore principale della Budapest Philharmonic Orchestra a Torino: verve ed esattezza ritmica
di Attilio Piovano
PER QUANTO STRANO possa sembrare, a Torino la Seconda Sinfonia di Kabalevskij mai era stata eseguita. A colmare la lacuna ci ha pensato l’Orchestra del Regio, nell’ambito della stagione dei Concerti, affidandone la direzione a Pinchas Steinberg, bacchetta di notevole caratura che l’ha in repertorio e non a caso la dirige per intero a memoria. Festeggiatissimo dal pubblico la sera del 26 marzo 2015 e dagli stessi orchestrali (che grazie ad una lunga consuetudine, per le molte produzioni operistiche e i numerosi concerti realizzati, mostrano di apprezzarlo alquanto tributandogli vasti consensi col rumoreggiare dei piedi sul palco) Steinberg ha colto perfettamente l’esprit della Seconda datata 1934, di certo la migliore, la più variegata delle sue Quattro Sinfonie. E allora molta verve e altrettanta esattezza ritmica nel conciso Allegro quasi presto dove gli ottoni hanno dato il massimo per conferire risalto alle luminescenti fanfare di cui la partitura è costellata; così pure molto bene i legni e le percussioni che hanno avuto modo di crepitare a lungo.
Appena qualche eccesso fonico e una tendenza a privilegiare quel certo epos che, della Sinfonia, è forse il tratto più datato e prevedibile
Ottimo il lavoro di concertazione condotto sulle varie sezioni dell’orchestra e un plauso, a Steinberg come all’Orchestra del Regio, per avere trovato i colori giusti nell’Andante centrale, smaccatamente ‘russo’ col climax degli archi esacerbati e quel certo tono vagamente melanconico già all’esordio, giù giù sino alle ultime misure dall’arcana e impalpabile atmosfera. Appena qualche eccesso fonico e una tendenza a privilegiare quel certo epos che, della Sinfonia, è forse il tratto più datato e prevedibile, connesso ai trascorsi di Kabalevskij quale musicista ‘di regime’ dell’era sovietica, di livello ovviamente inferiore al sommo Šostakovič, nel non meno lapidario, folgorante finale dallo sfrontato e pur piacevole eclettismo. Del quale Steinberg ha ben focalizzato il carattere, in bilico tra grottesco e smagata distensione. Poi, per par condicio, il monumentum della celeberrima ‘Patetica’ di Čajkovskij, sofferta confessione intrisa di biografismo nonché imbevuta di esasperato pathos. A Torino l’avevamo ascoltata relativamente di recente, lo scorso dicembre, con Gergiev e il Mariinskij. Un confronto non avrebbe senso e quanto meno risulterebbe impari. Ciò detto l’Orchestra del Regio ha regalato momenti di vera emozione per la curva melodica del primo tempo, dove non tutto era oro colato sul versante degli ottoni, nelle seduzioni del secondo (fascinosa Valse caressante dall’insolito e claudicante metro di 5/4), nello scintillio del terzo, e così pure immancabilmente, nel luttuoso finale di fronte al quale è pressoché impossibile restare indifferenti. Un’interpretazione in complesso di buon livello, per intensità e assai apprezzati gli archi per omogeneità e afflato melodico.