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Leif Ove Andsnes al Lingotto di Torino

di Attilio Piovano
6 Novembre 2015
in CONCERTI, RECENSIONI
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Colori, timbri lunari, dominio tecnico. Il pianista è oggi uno dei maggiori interpreti della scena internazionale


di Attilio Piovano

Serata inconsueta, martedì 3 novembre 2015, a Torino, presso l’Auditorium di via Nizza progettato da Renzo Piano, per la stagione di Lingotto Musica: in luogo di una delle consuete orchestre di fama internazionale, per una volta i Concerti del Lingotto hanno dato spazio ad un recital solistico. Col fuoriclasse Leif Ove Andsnes che già avevamo ascoltato con l’orchestra. Norvegese, classe 1970, un palmarès incredibilmente ricco, Andsnes è un vero maestro del tocco. La tecnica, che pure possiede in massimo grado, in lui pare un dato per così dire a priori. Sembra sfidare le leggi della gravità e suonare senza preoccuparsi del peso, sembra galleggiare sulla tastiera, eppure dove occorre sa sfoderare vigorosi forti, ma sempre magicamente timbrati.

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Ha proposto un programma fuori dagli schemi che – sulla carta – pareva una sfida, se non addirittura una provocazione. E allora in apertura pagine del finlandese Sibelius, e si è trattato dei Tre pezzi op. 41 Kyllikki, così intitolati dal nome della fanciulla protagonista del poema finnico Kálevala, pressoché ignoti nelle nostre contrade e assai poco frequentati dai pianisti. E subito Andsnes ha avuto agio di centellinare un incredibile gioco di timbri: già nel primo in cui la scrittura si presenta armonicamente densa memore qua e là della tornitura di Preludio, Corale e Fuga di Franck, così pure nel secondo, cupo e desolato in apertura, ma poi pronto ad aprirsi ad una danza come di Elfi in bilico tra Grieg e Chopin, mentre il terzo, aereo e leggiadro, è quasi uno Scherzo. Meno fascinosi, ma significativamente intimisti, i Pezzi op. 75 dai quali  Andsnes ha estratto, come da un mazzo, il n. IV (La betulla), dall’eleganza un po’ inconsistente con un’inattesa chiusa che vira sul misterioso e il n. V (L’abete) stilisticamente ibrido come di valzer smagato, ma fondamentalmente triste. Pezzi che sotto altre dita stenterebbero a decollare e ad avvincere mentre Andsnes riesce e captarne la grazia intima e restituirla in tutta la sua freschezza.

Così pure nei tre pezzi che estrapola dagli Schizzi op. 114, Il lago della foresta, la Canzone nella foresta e la Visione primaverile, pagine delicate e appena increspate di una grazia un poco decadente. Di essi il primo soprattutto avvince, con quelle sofisticate armonie alla Skrjabin. Ma a convincere appieno è l’eleganza rara di Andsnes che pare avere a sua disposizione una tavolozza con almeno il triplo dei colori di cui solitamente dispongono i migliori pianisti. E ottiene effetti di incredibile intensità grazie anche ad un uso sopraffino e sagace del pedale di risonanza e ancor più di quello della ‘corda’.

Cambio di registro e via con la beethoveniana Sonata op. 31 n. 3 della quale Andsnes ha dato un’interpretazione sorvegliatissima, quasi neoclassica, ma piena di intelligente sensibilità. E allora quanta sobrietà e levigatezza nel primo tempo, appena ammiccando allo humour che è invece il dato di fondo dell’arguto Scherzo, con quel gioco della mano sinistra che pare la mimesi di un fagotto brontolone  e quegli accordi che fendono l’aria come squilli di trombe seguiti da crepitanti frasi. Bellissimo, mai sentito con tanta grazia e sensibilità. E ancora, un tocco che ha del prodigioso. Gradazioni indicibili, bel cantabile e mezze tinte nel soave Menuetto e poi da ultimo Andsnes sbriglia tutta la comicità nel finale in veste di tarantella, con quel ritmo sghembo della sinistra che altri accentuano in maniera becera, goffa ed esageratamente  plateale, laddove il norvegese impartisce una vera lezione di stile, misura ed equilibrio.

Facile immaginare che un pianista così raffinato abbia una propensione per Debussy del quale ha scelto di eseguire la Soirée dans Grenade dalle Estampes, ancora una volta rivelando una cura indicibile nel controllo del suono, timbri magnifici, staccati di rara nitidezza, una bella curva espressiva con la magniloquente e maestosa parte centrale ad accordi dopo l’inizio rarefatto e remoto in ritmo di Habanera. E ne risulta un Debussy vaporoso e incisivo nel contempo, impressionista, alonato e simbolista e al tempo stesso neo clavicembalista, come dev’essere.  Coerente scegliere poi tre pagine dalle quintessenziate Études, che sono l’estremo lascito di Debussy: e allora quello sui gradi cromatici, quello sugli arpeggi dove Andsnes sfoggia un tocco lunare, siderale, in apertura e così pure per quelle zone che paiono ‘giochi d’acqua’ per dirla con Ravel, perlacei ed iridescenti come bolle di sapone.

Da Debussy a ritroso verso Chopin che di fatto aveva anticipato di molto la tecnica impressionista del sommo francese. E allora se nell’Improvviso n. 1 op. 29 riesce ad evitare quel che di salottiero che nella pagina è connaturato, nobilitandola, ancora una volta grazie all’arte sapiente del tocco, e se nel Notturno op. 15 n. 1 sciorina un cantabile di rara purezza, è nella Quarta Ballata che Andsnes tocca il culmine della sua performance chopiniana. Altri intendono la pagina come un poema fiammeggiante e fanno rombare i bassi come un’orchestra. Andsnes al contrario punta tutto – molto intelligentemente – sul timbro e sul gioco contrappuntistico, con un controllo – vale la spesa ribadirlo – sorvegliatissimo, da quel remoto scampanio iniziale sino alle ultime misure che hanno sì qualcosa di flamboyant. Ed è un trionfo dell’intelligenza e del gusto, ricompensata da convinti applausi ai quali Andsnes risponde con due pagine fuori programma. E dunque in chiusura due chopiniani celeberrimi bis: il primo era lo Studio in fa minore op. 25 n. 2  eseguito con incredibile uguaglianza e leggerezza mentre il secondo era la Polacca op. 53 detta ‘militare’. E solamente in questo caso Andsnes ha fatto qualche (minima) concessione al pubblico, pur restando lontanissimo dal funambolismo facile e plateale che strappa l’applauso, pesando col bilancino le famose ottave della mano sinistra che altri fanno risuonare con volgare effetto di timpani. Indimenticabile.

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Tags: Leif Ove AndsnesLingotto Torino
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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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