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Beethoven pacato, (troppo).

di Attilio Piovano
6 Febbraio 2016
in CONCERTI, RECENSIONI
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Home RECENSIONI CONCERTI
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Daniele Gatti a Torino con la Mahler Chamber Orchestra ha dato una lettura beethoveniana (Sesta e Settima sinfonia) molto corretta ma anche molto monòcroma


di Attilio Piovano foto © Pasquale Juzzolino


POCHE LE EMOZIONI – spiace dirlo, ma questa è stata l’impressione largamente condivisa, o quanto meno quella percepita e registrata da chi scrive – a Torino la sera di giovedì 4 febbraio 2016, al Lingotto, con la Mahler Chamber Orchestra: sul podio Daniele Gatti che prosegue l’esplorazione delle Nove Sinfonie beethoveniane, ovvero l’esecuzione integrale ‘spalmata’ in più serate e su più annate. Era la volta della Sesta, l’inossidabile Pastorale e della ben più vitalistica e dionisiaca Settima. Della Pastorale abbiamo ammirato, certo, la puntuale lettura attenta a mille dettagli cameristici e così pure lo scrupolo filologico, ma lo stacco dei tempi, molto guardingo, e più ancora l’estrema e parsimoniosa sobrietà nelle dinamiche (raramente si sono uditi veri fortissimi, che pure in partitura sono indicati) ha fatto sì che la Sesta scorresse pacata e un po’ monocroma.

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Molta delicatezza, eleganza e compostezza già nel primo tempo, ma quell’esibito sguardo retrospettivo verso un Settecento arcadico e di maniera, ormai definitivamente tramontato, ha finito per trasformarsi ben presto in una certa qual soporifera monotonia, e non sono certo bastate alcune guardinghe e timide increspature nella zona centrale del celebre movimento volto a delineare il Risveglio dei sentimenti all’arrivo in campagna per conferire un guizzo alla pagina.

Che è poi proseguita con estenuante pacatezza nella scena del ruscello e con una economia di colori un po’ destabilizzante. Beninteso, nessuno pretende o reclama un ritorno alle muscolose (e francamente eccessive) sonorità alla Karajan & c. Va bene poi adottare un organico cameristico più prossimo alle abitudini dell’epoca che non alle esagerazioni di certi direttori tardo ottocenteschi e proto novecenteschi. Però – diciamolo – un Beethoven così esangue e smunto finisce per mettere un filino a disagio. Se l’Allegra riunione dei campagnoli mai era apparsa sì morigerata e trattenuta, il Temporale è trascorso in un amen, come sullo sfondo, lontano dalla presa diretta, più occasionale e fuggevole scroscio di pioggerellina estiva che non furioso imperversare di vento e collidere di nembi, con appena qualche rumoroso tuono e nulla più (anche il fugato è sfilato via, pur affrontato con acribia e inappuntabile esattezza, senza quasi incidere né graffiare). Da ultimo, con apprezzabile e coraggiosa coerenza (sì da sfidare l’impopolarità), le levigate superfici del bucolico quadro finale sbozzato con neoclassica e molto misurata moderazione.

Perplessità generale e applausi di circostanza, dinanzi a una Pastorale che evidentemente Gatti sente così. Ben più convinti e copiosi gli applausi invece a fine serata, al termine dell’amatissima Settima in cui direttore e orchestra si sono lasciati andare un poco di più (ma solo un poco), ben lontani peraltro da quello spirito dionisiaco, da quei tellurici scuotimenti che della Settima costituiscono il nerbo e il significato intrinseco. Di davvero eccitato (di moderatamente eccitato) c’è stato solamente lo Scherzo, a fronte di un primo tempo assai levigato, un finale affrontato con cartesiana esattezza, ma come senza partecipazione emotiva e di un Allegretto invece insolitamente rapido, quasi tirato via, come se si temesse di esagerare nel pathos e nella macerazione che ne costituiscono il motivo di maggior interesse.

Una miriade di particolari strumentali sono emersi al meglio, perfettamente focalizzati come raramente accade, e questo è un punto a favore (e pazienza per un paio di scivolate di frizione dalle parti dei corni, sono cose che accadono anche alle migliori compagini e la Mahler ha ottimi archi e bei legni), per contro è mancato, a nostro avviso, quell’abbandono, diciamolo francamente, quella sfrenatezza ebbra e perfino scomposta che tutti, ma proprio tutti, nella Settima ci si attende. Al di là dei pur discutibili e soggettivi ‘modelli’ che ognuno di noi ha nella propria mente, rispetto ai quali si tende inevitabilmente a raffrontare ogni esecuzione (e a valutarla).

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Tags: Daniele GattiMahler Chamber OrchestraMCO
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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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