di Luca Chierici foto © Bastian Achard
Anne-Sophie Mutter è la grande violinista che tutti conosciamo. Lanciata agli inizi degli anni ’80 nientemeno che da Herbert von Karajan, la Mutter si è rivelata una strumentista dal suono affascinante, dalla tecnica impeccabile, e soprattutto artista che sa cogliere come d’istinto i significati più profondi di composizioni appartenenti a epoche e stili anche molto distanti tra loro. Musicista di razza, lavoratrice infaticabile che ha saputo raccogliere e mettere a frutto l’appoggio di un mentore così illustre e poi percorrere da sola una strada che è spesso irta di difficoltà, la Mutter non ha mai interrotto un proprio personale itinerario di ricerca che fa di lei un esempio non comune nel panorama del concertismo. Non certo frequentissime sono state le sue apparizioni a Milano e in particolare alla Scala come solista (ricordiamo molto bene un suo Concerto di Sibelius, con Tilson Thomas nel lontano 1992, e ancora il Concerto di Beethoven con Muti, nel 2004) anche se accanto a questi eventi vanno citate le sue collaborazioni prestigiose nell’ambito della musica da camera (indimenticabile la serata in cui suonò per le Serate Musicali di Milano una selezione di trii di Beethoven accanto a Rostropovich e a Giuranna).
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La Scala ha intelligentemente invitato lo scorso anno la Mutter sempre per un applauditissimo concerto da camera (a fianco di Bronfman e Harrel) e oggi ha permesso di ascoltarla nel magnifico Concerto di Brahms accanto a Chailly in una serata tutta dedicata al compositore amburghese. Serata che si è svolta all’insegna del fare musica nel più puro senso del termine. Non pensiamo che il lavoro preparatorio tra la Mutter e Chailly si sia ridotto a qualche fugace incontro, tanto alto era il livello dell’insieme e tanto raffinata la partecipazione del direttore all’imprevedibile e sempre cangiante senso del rubato della solista. Ne è sortita una splendida esecuzione del Concerto in re maggiore, che avrebbe meritato gli applausi del pubblico fin dal termine del primo movimento e che alla fine ha riscosso un successo unanime e convinto. La violinista ha esibito un suono di una purezza e di un corpo straordinari – difficile ascoltare la voce del violino solista attraverso un’acustica poco generosa come quella del Teatro – e ha ancora una volta dimostrato di sapere entrare nel profondo del linguaggio brahmsiano cogliendo ogni sfumatura dell’immenso capolavoro. Un bis bachiano, accolto sia dall’applauso del pubblico che da quello dell’orchestra tutta, ha fatto da intermezzo prima della seconda parte del concerto, dedicata alla quarta sinfonia di Brahms. Come il segno della concertazione di Chailly ci era apparso perentorio fin dall’inizio del Concerto op. 77, con quell’evidenziare il raddoppio dei fiati nell’esposizione del tema principale, così l’attacco della quarta sinfonia ci ha improvvisamente rammentato, nel suo appena percepibile “ritenuto”, il fascino di un’antica esecuzione scaligera del giovane Abbado.
Esiste sicuramente un filo di memorie che collega la concezione brahmsiana di Chailly a quella dell’amico e collega, e ci piace pensare che la presenza del direttore milanese oggi in teatro riesca in qualche modo anche ad assicurare il ricordo di una guida che ha rappresentato per Milano e per la Scala un esempio incancellabile. Chailly è riuscito a coniugare in maniera ammirevole, soprattutto nel primo e quarto movimento, le ragioni formali e quelle espressive, e si è lanciato con impeto nel turbine sonoro dello Scherzo con risultati memorabili. Grande successo di pubblico per uno dei concerti più belli della stagione.
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